Soddisfatti gli ematologi per i risultati ottenuti dai trattamenti della leucemia mieloide cronica

Sono all’incirca mille ogni anno, over 65 in due casi su tre, gli italiani che si ammalano di leucemia mieloide cronica, una patologia causata da un’alterazione genetica che comporta una proliferazione cellulare incontrollata e un’elevata produzione di globuli bianchi da parte del midollo osseo. Una malattia che, fino a poco tempo fa, conduceva alla morte nel giro di 2 o 4 anni, ma che dal 2000, grazie al trattamento con il farmaco imatinib, permette di sopravvivere anche 9 anni e in ottime condizioni nel 96 per cento dei casi. «Occorre però – avverte Franco Mandelli, presidente dell’Associazione contro le leucemie – seguire attentamente il percorso della terapia, capire se il malato la tollera e come viene affrontato l’impatto con la cura. La qualità della vita può influenzare in modo positivo la sopravvivenza». Da questa necessità è nata l’intuizione di realizzare uno studio tutto italiano, il primo al mondo nel suo genere, per conoscere e valutare gli effetti a lungo termine del trattamento con imatinib. Ci ha pensato l’Ail insieme con Gimema, il Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto, grazie anche al sostegno di Novartis.
Partito a marzo con l’arruolamento del primo paziente (al momento sono circa 400), ha coinvolto 27 centri distribuiti equamente tra Nord, Centro e Sud . La raccolta dei dati è ancora in corso, ma ha già permesso di trarre alcune indicazioni: secondo i medici, innanzitutto, è molto elevata la percentuale di pazienti che assumono il farmaco da molto tempo e non presentano effetti collaterali specifici. Sintomi che hanno un peso meno rilevante nella vita degli uomini rispetto a quella delle donne, e nei malati sotto i 60 anni rispetto agli anziani. «I risultati preliminari – interviene Fabio Efficace, responsabile degli studi sulla qualità della vita di Gimema – ci dicono che i medici ammettono di non aver dato sufficienti ragguagli sulla vita sociale e familiare. Lo studio evidenzia i tre sintomi più rilevanti: la stanchezza, i crampi muscolari e i problemi di gonfiore».


«I pazienti in trattamento con imatinib – aggiunge invece Giorgio Lambertenghi Deliliers, vicepresidente della Società italiana di ematologia – devono essere monitorati ogni tre mesi per vedere se c’è una resistenza e se la malattia ricompare. In questi casi si deve agire e trattarli con i nuovi inibitori della proteina tirosin chinasi, che hanno un’attività superiore a imatinib».

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