Il sogno dell’ultimo dei sarti: fare un abito su misura per Berlusconi

RIMPIANTI Mario Romano, uno degli ultimi esponenti di una professione che sta sparendo, va in pensione. Senza eredi

Il sogno dell’ultimo dei sarti: fare un abito su misura per Berlusconi

Una baraonda di giacche e di camicie, un diploma di taglio e cucito al riparo di una cornice dorata. Foto di modelli, immagini di santi e di madonne, un orologio a forma di cellulare, di sbieco un ferro da stiro senza ruggine; alle pareti ritagli di giornale dai titoli bislacchi («Paga una prostituta con 50 euro falsi», «L’onda anomala delle dismissioni») e scontrini che il tempo invece ha sbiadito. Un disordine, forse affettato, che lui governa a meraviglia. In cui, comunque, si muove senza smarrirsi: «Non sono mica pazzo - chiarisce facendo lo sgambetto alla malizia dell’osservatore - io sono un artista, uno che si è laureato in mezzo alla strada». Mario Romano, classe 1942, professione sarto, mantiene uno sguardo serio e un po’ dolente mentre ci guida nel suo negozio in via Saluzzo, vicino la fermata della metro Ponte Lungo. Medita di andare in pensione a gennaio e, per la prima volta, anziché con gli orli si trova a fare i conti con i rimpianti: «Il mio mestiere è pieno di dignità, non è come cambiare un tubo. Dall’estero sono venuti a copiarci, hanno martoriato e svilito la nostra impronta di artigiani. Oggi tutto è contraffazione e sciatteria, spacciano per eccellenza delle pezze vecchie».
Lui no, ha resistito tra difficoltà economiche e clienti storici che non passano più, neanche per una pacca sulla spalla, un «non me lo posso permettere» addolcito da due zollette in un caffè: «E però, crisi a parte, rimane una differenza enorme tra un vestito, quello che realizzo io come ai vecchi tempi e che dura 20 anni, e un semplice, banale abito incollato, buono per essere usato un paio di volte e poi buttato via». Per qualcuno sarà solo una questione di termini, di sinonimi, per Mario di ago, filo, tessuti inglesi e passione, «onore» addirittura.
Tutto è cominciato a Montemarano, il suo paesello natale in provincia di Avellino, famoso per la tarantella. Garzone di bottega, si dice così, finché la provincia gli sta stretta, e allora decide di trasferire fagotto e ambizioni nella capitale. Gregario anche in mezzo ai sette colli, finché decide che il suo ’68 può iniziare con un anno d’anticipo: il 26 luglio del 1967 alza la saracinesca per cucire da solo.
Bravo è bravo, tanti lo notano e i premi si moltiplicano, tra i suoi clienti ci sono stati Laura Antonelli e Pippo Baudo. Molti ne ha avuti, ne vorrebbe altri due: «Il mio grande sogno, prima di lasciare, è quello di confezionare un abito su misura per il presidente Berlusconi e realizzare un tailleur blu per Belen Rodriguez». Non solo: «Mi piacerebbe essere invitato in un qualsiasi programma televisivo, andrebbero bene pure dieci minuti, per mostrare agli italiani il fascino della mia professione, la capacità di creare qualcosa di unico dal nulla. E lì rivolgerei il mio appello».

Questioni di eredità, di memoria, di un patrimonio da tramandare prima che vada perduto: «Vorrei trovare un giovane volenteroso, un apprendista a cui insegnare il sacrificio, quello che so, quello che non ho mai dimenticato». E magari accorgersi che può bastare un altro orlo per coprire il rimpianto.
mar.morello@gmail.com

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