Sono italiane le piastrelle più ricercate del mondo

Enrico Boschivi

Allora, presidente, le piastrelle italiane sono sempre prime nel mondo?
«Sì - risponde Alfonso Panzani, presidente di Assopiastrelle -: abbiamo il primato per fatturato, con 6 miliardi di euro nel 2006, dei quali il 70% ricavati dalle esportazioni. In termini di quantità prima nel mondo è la Cina, che produce 3 miliardi di metri quadrati, contro i nostri 570 milioni».
É un concorrente temibile?
«Con i cinesi non possiamo batterci né sulle quantità né sui prezzi: la gara è improponibile. La sfida asiatica ha procurato al settore cinque anni difficili, nei quali abbiamo cercato di puntare ancora di più sulla qualità, sull’innovazione e sulla creatività, che sono le nostre vere armi. Così abbiamo ceduto leggermente sui volumi, ma siamo cresciuti in valore aggiunto».
Come state andando adesso?
«Meglio. Questo è il primo anno in cui abbiamo ripreso a crescere nell’export, mentre i ricavi complessivi sono andati bene anche negli anni scorsi. Per il miglioramento della produzione il nostro sistema investe il 5% del fatturato».
Anche le piastrelle, come molti altri prodotti italiani, sono oggetto di delocalizzazione?
«Molte aziende, le più grandi e strutturate, hanno cominciato a produrre nei mercati di riferimento; e cioè negli Stati Uniti, in Portogallo, Russia e Nord Europa. Ormai all’estero si fattura il 10-15% dei quei 6 miliardi fatturati in Italia, e si tratta di ricavi aggiuntivi».
Producete anche in Cina?
«Poco, per ora, anche se si tratta di un mercato con elevati potenziali. In compenso si importa in Italia del prodotto cinese di bassa gamma».
Ci sono Paesi che tallonano il primato italiano?
«Ci sono concorrenti temibili: dalla stessa Cina, alla Spagna, al Portogallo, al Messico, al Brasile. Per qualità siamo i primi, ma la Spagna, per esempio, cerca di insidiarci...».
Quali sono i problemi più spinosi che la nostra industria ha di fronte?
«Il principale è l’energia, in particolare il gas metano. Per il nostro settore è diventata la prima voce di costo, più della manodopera. Tra il 2005 e il 2006 l’aumento è stato del 60%, insostenibile. Le tariffe all’industria in Italia sono superiori del 30% rispetto ai concorrenti europei. L’Eni è forte, ma lo Stato ha un doppio interesse a tener alti i prezzi: incassa ricchi dividendi e tasse crescenti, visto che le accise sono proporzionali ai prezzi».
State trattando?
«Attraverso la Confindustria stiamo cercando di evidenziare quesi aspetti, a livello governativo. É un aspetto importante, che riguarda il rilancio di tutti i distretti industriali».
Con tutte le esportazioni che avete, risentite del dollaro così basso?
«Sì, è un altro grosso problema in tutte le aree dove le transazioni sono in dollari. Senza contare che l’energia all’origine si paga in dollari. Negli Stati Uniti, per esempio, stiamo da tempo stringendo i denti: siamo il primo esportatore, con il 50% di produzione in loco, controllata da aziende italiane.

Ma premono concorrenti messicani e brasiliani, avvantaggiati dal fatto di non essere penalizzati dal dollaro. Per fortuna c’è anche l’altra faccia della medaglia: la Russia sta crescendo molto bene, è un grande mercato in espansione molto sensibile al fascino e alla qualità dei prodotti italiani».

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