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il commento 2 Protezionismo cinematografico: quote fisse in tv per film italiani

A poche settimane dalla fine della legislatura, ecco spuntare un decreto sul cinema che ha il pregio di soddisfare pochi e scontentare molti. Succede che i ministri Passera e Ornaghi hanno ultimato uno schema di decreto, ora al vaglio delle commissioni parlamentari, sulle quote di investimento finanziario e di programmazione che le emittenti televisive sono tenute a riservare alle opere cinematografiche di «espressione originale italiana». In pratica la Rai ha l'obbligo di investire il 3,6% dei ricavi complessivi annui in produzione, finanziamento, pre-acquisto e acquisto di opere cinematografiche italiane mentre per le altre emittenti tale obbligo riguarda il 3,5 % degli introiti netti. Per quanto riguarda l'obbligo di programmazione, il testo prevede per la Rai che sia dedicato a opere italiane l'1,3 % del tempo di trasmissione per i palinsesti non tematici e il 4 per cento di quelli tematici, mentre per le altre emittenti tale disposizione riguarda l'1 per cento per i palinsesti non tematici e il 3 per cento per quelli tematici. Ancora una volta si ripropone l'annoso dibattito se sia giusto imporre per legge cosa un'emittente debba programmare. Messa così la questione, la risposta è ovviamente negativa. Ma in questo caso, per la verità, il nuovo decreto, se mai vedrà la luce, specifica unicamente la quota autarchica nell'ambito di obblighi comunitari già esistenti di investimento (15% per la Rai e 10 per gli altri) e programmazione delle opere europee (20 per cento Rai e 10 per cento gli altri). Tanto che - ammettono gli addetti ai lavori - poco cambierà per le tv (Mediaset è già in linea) se non per Sky (chiamata recentemente dal Garante nelle comunicazioni a rivelare il valore complessivo dei ricavi da abbonamento coerenti con il bilancio di esercizio) obbligata a investire nel non amato pre-acquisto.

Insomma sarà un decreto che probabilmente non aumenterà il volume delle risorse investite ma darà solo delle certezze a un settore ultimamente in crisi d'incassi, forse anche di idee, ma con un decreto «protezionistico» quasi assicurato.

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