Currin, il ritratto è un'arte raffinata

Currin, il ritratto è un'arte raffinata

Una mostra magnifica e appassionante. Quasi una carrellata dai toni metafisici, al contempo sospesi e mélo. Aperta fino al 2 ottobre prossimo, si articola intorno a 14 dipinti di quello che oggi, scomparso Lucien Freud, è forse il maggiore pittore figurativo attivo sulla scena globale. A Firenze, lungo un'inattesa e suggestiva linea narrativa che coinvolge varie sale del Museo Stefano Bardini, si rivela il magistero artistico di John Currin, americano nato nella piccola città di Boulder, Colorado, nel 1962 e con base a New York. Currin si muove entro un territorio che bilancia una visionaria e imprendibile libertà con un realismo tumultuoso e scavato, impudico e perfino calligrafico. «Il mio lavoro racconta principalmente le mie ossessioni e il mio entusiasmo- sottolinea John Currin- . È imperniato su un dualismo che risponde direttamente al diktat della cultura del vuoto nella dimensione pittorica odierna, quella che vuol fare sembrare grottesca la rappresentazione del reale. Una delle ragioni per cui dipingo è liberarmi dalla tirannia delle lenti fotografiche». Il gioco che connota per intero l'itinerario espositivo fiorentino è di quelli che ti lasciano senza fiato. Un sofisticato confronto che identifica molteplici evidenti o sibilline assonanze, tra i ritratti e i nudi allegorici e lascivi ideati da Currin e i tesori accumulati in questo scrigno architettonico-pastiche da uno dei più leggendari antiquari internazionali tra lo scorcio dell'800 e i primi decenni del «Secolo breve». Quali visitors stranamente analogici e inquietanti, gli oli su tela di Currin, realizzati tra il 2001 e il 2015, si insinuano nel vivo del corpus di dipinti, di arredi, di sculture tardo- gotiche.

L'artista possiede un approccio peculiare al tema del ritratto, che riassume in sé anime e contributi differenti e contrastanti, miscelando citazioni di Holbein, di Dürer, di Parmigianino e dei maestri fiamminghi della natura morta, alle incalzanti e rapide pennellate di Frans Hals e Manet (il vero amore di gioventù di Currin), intrecciandole a una definizione formale che può ricordare la grafica di magazine patinati o addirittura delle riviste pornografiche. Lui, John, sorride molto ma parla davvero poco. Si sofferma in silenzio davanti al Battesimo di Cristo del Verrocchio, alla Madonna dal Collo lungo di Parmigianino e al bronziniano Compianto di Cristo, alle tavole di Botticelli, durante la visita agli Uffizi, scortato dall'amico Sergio Risaliti, curatore dell'esposizione con Antonella Nesi, responsabile del Museo Bardini. La mostra, promossa dal Comune di Firenze, è stata organizzata da Mus.e, in collaborazione con Gagosian Gallery e con il sostegno di Faliero Sarti, azienda sempre più impegnata nel campo artistico. Spiazzante ed ironico, John Currin afferma che «il disegno approssimativo e la stupidità che affiora nei miei dipinti sono elementi fuorvianti, che consentono alle illusioni di prendere il sopravvento. Credo anche - aggiunge l'artista - che le mie opere siano divenute molto popolari perché assommano gioia e bellezza. Ero un pittore astratto ma mi sono inevitabilmente dovuto calare nel figurativo. Non c'è stato nessun intento strategico, semplicemente non avrei potuto seguire altre strade. Il mio fare non riveste particolari punti di vista sociologici se non in modo casuale. È soltanto intriso di sensazioni e di quello che davvero, di volta in volta, mi interessa di vedere».

Ognuna delle tele esposte, inedita finora in Italia, ripercorre ambiti e raggiungimenti della grande pittura europea attraverso epoche successive, spaziando tra rinascimento e manierismo, dal modernismo fino all'illustrazione erotica.

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