Hume «progressista»? No, fu l'antesignano del conservatorismo

Luigi Iannone

David Hume fluttua in quel vasto magma di autori conosciuti solo da lettori scrupolosi o pedanti cattedratici. È dunque opera meritoria la prima edizione italiana della raccolta integrale e completa dei suoi scritti politici, Libertà e moderazione (Rubbettino, pagg. 314, euro 19) visto che quando uscirono, tra il 1741 e il 1742, il successo fu immediato, a differenza del pessimo riscontro delle opere metafisiche e morali. Ad accompagnare il volume un consistente apparato di note del curatore Spartaco Pupo il quale ha pubblicato in passato studi su Michael Oakeshott, Russell Kirk, Roger Scruton e Robert Nisbet: è dunque attento osservatore del pensiero conservatore. Ammette infatti di essere arrivato a Hume proprio attraverso Oakeshott e di voler ora ribaltare la prospettiva politologica nei suoi confronti. Hume verrebbe infatti citato a volte come ambiguo e inafferrabile, altre incasellato capziosamente e senza ulteriori e saldi riscontri nel fronte progressista.

In realtà, per ciò che riguarda una supposta ambiguità di fondo ci sentiamo di smentire a priori tale accusa. Peraltro, a rendere agevole la lettura del testo contribuiscono in primo luogo una scrittura che scorre liscia pure per i palati meno avvezzi alla politologia; il fatto che a Hume non facciano mai difetto acume critico ed antidogmatismo; ed infine, capitoli organizzati per singole tematiche. Per ciò che concerne invece l'ambiguità teorica, Pupo è granitico. Saremmo di fronte a una sorta di bislacca operazione ideologica che nel corso del tempo avrebbe trasformato la complessità speculativa di Hume in fattore penalizzante e, di conseguenza, condannato certo suo antirazionalismo per estromettere dalle valutazioni complessive anche la sua visione nazionalista, e il suo essere liberale in economia e conservatore in politica.

Navigando allora attraverso visioni e idee sull'origine dello Stato, sulla giustizia, sulla libertà, sul libero mercato, sulle relazioni internazionali e sulla proprietà privata, il lettore si accorgerà che di ambiguo c'è poco. Anche perché, anticipando di quarant'anni le teorie di Edmund Burke (e perciò decodificando e interpretando la Rivoluzione francese come una pretesa arrogante di chi vuole una assoluta e totale trasformazione della società), liberandosi da ogni influenza del tradizionalismo religioso, differenziandosi da ogni tipo di radicalismo e schierandosi apertamente contro i pregiudizi e i furori ideologici, Hume potrebbe essere a buon ragione considerato l'antesignano del conservatorismo moderno. Un teorico che non respinge l'innovazione tout-court ma solo lo spirito di cambiamento non graduato dalla prudenza.

Ci troveremmo di fronte, secondo Pupo, ad un conservatorismo laico «basato su un ordine morale e sociale della natura umana, e non su determinati modelli di tipo metafisico. Egli è contro i contrattualismi alla Locke e alla Rousseau che erano dei ragionatori in grado di articolare sistemi raffinati e modelli politici a tavolino, del tutto disancorati dalla realtà».

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