Il più giovane di sempre a entrare all'Académie Française, a 48 anni, nel 1973. Uno dei pochissimi a entrare, da vivo, nella Biblioteca della Pléiade di Gallimard. Uno dei rari letterati a tutto tondo: scrittore, giornalista, politico e persino attore. È stato un uomo di primati, Jean d'Ormesson, scomparso all'età di 92 anni nella sua casa di Neuilly sur Seine. Ecco perché con lui se ne va una parte fondamentale non solo delle lettere, ma anche della storia francese. Autore di numerosi romanzi e saggi, tutti tradotti in Italia da Rizzoli, tra cui La gloria dell'impero (che lo condusse al successo nel 1971 dopo sei romanzi passati quasi inosservati) dove imita i toni retorici del grande romanzo storico per descrivere un impero immaginario, in cui riunisce turpitudini di ogni genere, governato da un fittizio Alessio in lotta contro gli invasori; il suo riconosciuto capolavoro A dio piacendo, storia di un'antica famiglia aristocratica francese, da cui venne tratta anche una serie televisiva di grande successo e di recente ripubblicato nella collana Superbeat; Che cosa strana è il mondo, pubblicato in Italia nel 2011 da Barbès Editore, divenuto in Francia un caso editoriale per mesi ai primi posti delle classifiche.
«Il meglio dello spirito francese», lo ha definito ieri il presidente Macron. E come un «gigante delle lettere» è stato descritto negli ultimi anni e nel ricordo postumo, ma di certo anticonvenzionale rispetto alle aspettative e al format incarnato dai colleghi intellò d'Oltralpe. Intanto, era di origini aristocratiche: il suo nome completo era Jean Bruno Wladimir François-de-Paule Le Fèvre, conte d'Ormesson, figlio di un diplomatico discendente di servitori diretti del re. Eppure, subito gli era stato affibbiato dai compatrioti - affascinati dal suo charme e dai suoi bestseller amatissimi - il nomignolo di «Jean d'O». Poi, sebbene conservatore in politica e di preferenze destrorse, si è dimostrato controcorrente in una serie di prese di posizione di portata storica: si vantava di aver fatto entrare per la prima volta una donna, Marguerite Yourcenar, nell'Académie, nel 1980 e, dopo essere stato uno degli ultimi confidenti di Mitterrand in fin di vita, di averlo impersonato nel film La cuoca del presidente, nel 2012. Tra le attività collaterali alla scrittura - se così si possono chiamare, vista la definitiva portata istituzionale - vanno ricordate la collaborazione quarantennale con l'Unesco (al Consiglio Internazionale della filosofia e delle scienze umane dove fu anche presidente) e la direzione del quotidiano conservatore parigino Le Figaro, dal 1974 al 1977, testata che lasciò senza rimpianti, poiché sempre riconobbe alla letteratura il massimo valore rispetto al giornalismo e poiché non fu immune da contrasti con il proprietario del giornale, Robert Hersant.
Negli ultimi anni scriveva quasi solo di sé, in una vena autobiografica lucida e ficcante, che lo aveva reso ancora più caro ai suoi lettori. Da un tumore alla vescica, che nel 2013 gli aveva procurato molta sofferenza e lunghi periodi in ospedale, era nato Il mio canto di speranza (Clichy), pubblicato in Francia dalla casa editrice della figlia Héloïse. L'origine dell'universo, il caso, Dio erano le grandi questioni che lo assorbivano nell'ultimo periodo, sebbene avesse dichiarato di aver ormai raggiunto un equilibrio come «cattolico agnostico»: «Sono stato allevato nella religione cattolica» aveva detto in una delle ultime interviste al Figaro, qualche anno fa.
«Dio non mi interessa perché invecchio, ma perché di fronte ai misteri dell'esistenza ho sempre manifestato un sentimento di stupore. Sono stupito di essere vivo, di poter ascoltare Mozart. L'eternità, il tempo, la storia mi riempiono di stupore».
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