Dalla "ligera" all'Expo I nipotini di Scerbanenco ritingono Milano di noir

All'ombra del Duomo il "genere" non tradisce mai. Come dimostra la nuova generazione di giallisti...

Dalla "ligera" all'Expo I nipotini di Scerbanenco ritingono Milano di noir

C'è un passo nel romanzo Traditori di tutti di Giorgio Scerbanenco che fa capire perché Milano non poteva che diventare l'epicentro della letteratura noir italiana. È una frase illuminante pronunciata da Duca Lamberti al questurino Mascaranti: «C'è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città, non hanno ancora capito il cambio di dimensioni, qualcuno continua a parlare di Milano come se finisse a Porta Venezia o come se la gente non facesse altro che mangiare panettoni o pan meino. Se uno dice Marsiglia, Chicago, Parigi, quelle sì che sono metropoli, con tanti delinquenti dentro, ma Milano no, a qualche stupido non dà la sensazione della grande città, cercano ancora quello che chiamano il colore locale, la brasera, la pesa e magari il gamba de legn. Si dimenticano che una città vicina ai due milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale; in una città grande come Milano, arrivano sporcaccioni da tutte le parti del mondo e pazzi, e alcolizzati, drogati, o semplicemente disperati in cerca di soldi che si fanno affittare una rivoltella, rubano una macchina e saltano sul bancone di una banca gridando: Stendetevi tutti per terra».

Scerbanenco aveva compreso che l'ecosistema nero della città non poteva che essere fonte di storie da raccontare, storie che l'hanno resa nel tempo assieme a Napoli la città più studiata e raccontata dagli scrittori di genere. Prima dello scrittore di origine ucraina, in realtà, se ne erano già accorti Alessandro Sauli, il quale nel 1857 aveva pubblicato I Misteri di Milano sulla scia de I Misteri di Parigi di Eugene Sue, ma anche Emilio De Marchi, il quale avrebbe raccontato nei suoi racconti l'hinterland fra criminalità e ingiustizie come aveva fatto anche in precedenza Carlo Porta in alcune sue poesie.

Illuminanti sul rapporto che Milano aveva con la «ligera» (la specifica criminalità locale), fra la fine dell'800 e primi del '900 risultano testi come Il ventre di Milano e La canaglia felice dello scapigliato Cletto Arrighi, ma anche Milano sconosciuta e Gli scamiciati del giornalista-verista Paolo Valera. Non sono mai mancati autori noir disponibili a ri-raccontare Milano in maniera originale e che hanno cercato ogni volta di mostrarne un lato oscuro utilizzando storie e personaggi singolari: Augusto De Angelis, Scerbanenco, Antonio Perria, Renato Olivieri, Giovanni Testori, e poi Andrea G. Pinketts, Gianni Biondillo, Massimo Cassani, Antonio Steffenoni, Nicoletta Vallorani, Elena e Michela Martignoni (nascoste talvolta dietro lo pseudonimo di Emilio Martini), il trio Gallone-Besola-Ferrari (soprannominati da librai e lettori i Madonnini).

Da Duca Lamberti al Commissario De Vincenzi, dal commissario Ambrosio al guascone Lazzaro sant'Andrea, dalla Gilda del Mac Mahon ai commissari Micuzzi e Bertè fino all'Ispettore Ferraro stiamo veramente parlando di un'umanità varia di personaggi. Nella galleria più recente di storie che hanno ri-raccontato Milano ne vanno sicuramente segnalate tre: La squillo e il delitto di Lambrate (SEM) di Dario Crapanzano, Il nome del padre (Neri Pozza) di Flavio Villani e La strategia del gambero (Feltrinelli) di Piero Colaprico. Tre modi di raccontare la stessa città in periodi diversi. Dario Crapanzano sceglie ancora una volta la strada degli anni Cinquanta che ha fatto la fortuna del ciclo di inchieste del Commissario Arrigoni, un periodo che ha ben conosciuto avendovi svolto il mestiere di pubblicitario. Ne La squillo e il delitto di Lambrate è protagonista la ventenne Margherita Grande detta da tutti Rita, la cui vita cambia per «un pacca sul sedere e una strizzata d'occhio» diventando «bella vita» in un raffinato bordello milanese del 1951, in via Monte Rosa. Rita dovrà cercare di scagionare una sua collega accusata dell'omicidio del fidanzato. Una storia giocata fra i confronti della «ligera» di Lambrate e Porta Venezia che si permette di omaggiare anche il cinema dell'epoca con la presenza di una scioccante e avvenente sosia di Silvana Mangano.

È l'agosto del 1972 invece il momento in cui - ne Il nome del padre di Flavio Villani - viene ritrovato in una valigetta abbandonata in piazza Duca d'Aosta il corpo fatto a pezzi di una donna, fatto che innesca le indagini del viceispettore Rocco Cavallo. Ma le sue analisi e quelle della buoncostume perderanno presto di incisività, anche se un'intuizione del commissario Vicedomini porta le forze dell'ordine a ipotizzare persino un legame remoto fra quell'omicidio e una serie di efferati delitti realizzati negli anni Quaranta dal terribile Macellaio della Martesana... Flavio Villani è molto abile a giocare di incastri in una storia in cui il suo protagonista è più che un uomo d'azione un'abile psicologo, capace di scrutare gli atteggiamenti di chi lo circonda e che è costretto a sviluppare le sue indagini in un arco di vita di oltre trent'anni, periodo durante il quale lo stesso Rocco Cavallo cambia di ruolo e subisce un'evoluzione personale estremamente particolare.

Un uomo che è cambiato molto nel tempo è anche il Corrado Genito che Piero Colaprico rimette in pista ne La strategia del gambero. Ex carabiniere, ex agente dei servizi segreti, Genito è in galera a causa di un'operazione finita male in cui avrebbe dovuto liberare un ostaggio. L'aver sottovalutato i metodi estremi dell'incursione ha portato alla morte del suo amico Francesco Bagni e il senso di colpa per quello che è successo è schiacciante. Eppure la vita gli ha insegnato che nonostante tutto: «vola leggero come una farfalla, pungi forte come un'ape, ma non farti avanti, cammina all'indietro come i gamberi». E così quando i Servizi gli promettono, in cambio di una nuova «missione», la cancellazione della pena, Genito accetta sapendo benissimo che però andrà inguaiarsi.

Soprattutto se il luogo d'azione è il paesotto di Ranirate e se devi incastrare le famiglie dell'drangheta degli Spanò e dei Corallo... Un romanzo contemporaneo che usa la fiction per mostrare ai lettori quali sono i meccanismi reali della nuova criminalità che si è spartita l'ex Milano da Bere dopo l'Expo...

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