Rino Cammilleri
D ottor Finn, che facciamo adesso? -
L'espressione del tenente Farewell era seriamente preoccupata. Da un paio di mesi i due ufficiali britannici stazionavano nel kraal di Shaka e le loro prospettive non facevano che peggiorare. Erano stati mandati in missione esplorativa per conto di sua maestà Giorgio IV perché quell'oscuro guerriero zulu in brevissimo tempo aveva creato un vero e proprio impero che adesso premeva sulle colonie inglesi del Transvaal e del Natal. In quel 1823 i due erano stati accolti con sospetto dal Napoleone africano (così lo chiamava ormai la stampa londinese), il cui indubbio genio strategico aveva attirato sotto il suo comando centinaia di impi, ognuno dei quali delle dimensioni di un reggimento. Francis Farewell, ufficiale di marina, e Henry Finn, ufficiale medico, non avevano tardato a rendersi conto di avere a che fare con un lucido megalomane che governava col terrore e non nascondeva le sue insaziabili ambizioni. I suoi guerrieri, cui aveva imposto il celibato, lo consideravano un dio invincibile e per lui andavano fanaticamente al massacro. Il pericolo era reale e la furia di Shaka poteva scatenarsi contro gli inglesi in qualsiasi momento. Ma Finn e Farewell non potevano avvertirne il governatore, perché Shaka non dava loro licenza di partire.
Adesso, forse, si era presentata un'occasione. M'tinswayo, re dei kingeni, era stato sconfitto e imprigionato da Shaka, che non lo aveva ucciso ma gli aveva offerto di mettersi al suo servizio. L'astuto Shaka faceva così con i vinti: se non volevano finire impalati dovevano combattere per lui, diventando zulu a tutti gli effetti. Era in tal modo che aveva radunato un esercito mai visto prima.
Il re kingeni era stato rinchiuso in una prigione costruita appositamente, una specie di cubo posto al centro di un vasto spiazzo e realizzato con robuste assi di legno. Il tenente Farewell era stato «pregato» da Shaka di tappare ogni interstizio con pece e catrame, così come aveva visto sulla barca con cui gli inglesi erano arrivati percorrendo il fiume Phongolo. Farewell, capita l'antifona, preparò un impasto bituminoso servendosi di quel che la zona offriva. Il cubo divenne una massa compatta alta tre metri, con pareti che, onde impedire fughe sotterranee, affondavano nel terreno per altri due. Solo il tetto non fu sigillato, perché al prigioniero non mancasse l'aria.
C'era un'unica porta, che il furbo Shaka aveva fatto realizzare in modo che si potesse aprire solo dall'interno. Nessuno poteva entrare. Quando M'tinswayo si fosse deciso a capitolare, sarebbe stato lui a venir fuori. Nel frattempo doveva sopportare il caldo infernale e la cruda escursione termica notturna, oltre agli insetti che penetravano dal tetto e ai suoi stessi escrementi.
M'tinswayo si era rivelato, però, un osso duro. Non implorava acqua, né cibo, né una coperta. Si sarebbe lasciato morire piuttosto che cedere? Poteva darsi, ma di sicuro Shaka aveva previsto questa eventualità. Però i due inglesi non erano ancora riusciti a capire che cosa avesse in serbo. L'enigmatico imperatore zulu non rideva mai e parlava solo per dare ordini. Impossibile decifrare il suo volto di pietra. Una sola persona godeva della sua conversazione, ma sempre in privato: sua madre Nandi, cui era morbosamente attaccato.
I due bianchi subodorarono un motivo recondito nella macchinazione di Shaka riguardo al prigioniero. Forse temeva che qualcuno dei kingeni venisse a uccidere M'tinswayo per impedirgli di scendere a patti. Forse quel popolo non aveva alcuna voglia di diventare carne da macello per un pazzo sanguinario come Shaka Zulu, la cui sete di potere non aveva limiti. I kingeni vivevano ai confini della colonia britannica e sapevano bene che contro cannoni e fucili le zagaglie servivano a poco. Nemmeno la lancia corta e il grande scudo ideati da Shaka avevano speranze con chi poteva falciare i nemici a distanza.
Finn suggerì al collega che, data la storia personale di Shaka, forse l'omicidio di M'tinswayo avrebbe potuto avere motivazioni meno prudenziali e più in stile con quel che avevano visto in Africa: un pretendente al trono. La morte del re dei kingeni avrebbe fatto comodo a chissà quale suo parente. Shaka, che si era guadagnato la corona uccidendo suo padre e sterminandone quasi per intero il clan, aveva insomma tutto l'interesse a che M'tinswayo restasse vivo. Almeno fino alla sua resa.
Perciò il re prigioniero era guardato a vista giorno e notte. E nella sua cella non era presente alcun oggetto atto al suicidio. Anzi, non c'era proprio niente. M'tinswayo sedeva e dormiva per terra, coperto solo dal suo perizoma.
Ogni mattina, con gran pompa, Shaka si presentava alla porta della prigione e, a gran voce, chiamava il suo occupante rinnovando le profferte. E, ogni volta, dall'interno risuonava uno sdegnoso rifiuto, accompagnato da sarcastici inviti a ucciderlo. Shaka non batteva ciglio e tornava sui suoi passi.
Ma, il quinto giorno, al richiamo di Shaka non vi fu risposta. L'imperatore zulu attese, poi ripeté le parole. Silenzio. Shaka parlò una terza volta, alzando di più la voce. Niente. Le guardie cominciarono a sudare di paura, gli uomini del seguito del gran capo erano impietriti. Tutti guardavano colui che occupava il Seggio del Leopardo in attesa delle sue decisioni, ma neanche un muscolo si muoveva sulla faccia impassibile di lui.
M'tinswayo era rimasto per cinque giorni senza bere e mangiare. Non essendo stagione di piogge, non aveva potuto contare nemmeno sulle gocce del cielo. Forse Shaka aveva tirato troppo la corda, forse avrebbe dovuto farlo nutrire con la forza. Già, ma in tal modo quello avrebbe potuto tirare avanti all'infinito. O forse evitava semplicemente di rispondere per fare un dispetto al suo nemico. Forse.
Intanto, Shaka restava lì, fermo, in piedi, senza dire né fare nulla. In un silenzio impressionante, il terrore serpeggiò nell'intero kraal. Nessuno sapeva come avrebbe reagito Shaka all'eventuale fallimento dei suoi piani su M'tinswayo. Proprio per questo tutti tremavano. Il Napoleone africano, infatti, non aveva mai esitato a far impalare, e per molto meno, anche donne e bambini.
- Alla fine, come sapete, Shaka ha abbattuto lui stesso la porta, con una sola spallata - disse Finn, costernato E, come sapete, ha trovato il cadavere di M'tinswayo -
- Suppongo che abbia trucidato di sua mano le guardie! - esclamò Farewell.
- No, amico mio, Shaka non è affatto uno stupido, purtroppo. Se quello fosse morto di sete o di fame, la colpa sarebbe stata sua. Le guardie le avrebbe uccise, sì, ma per sfogare su qualcuno la sua rabbia. No, credo che avesse una carta da giocare per non incorrere in questa evenienza, anche se non saprei dire quale carta. Ma M'tinswayo aveva una iklwa che gli passava il collo da parte a parte, fuoruscendo di tutta la lunga punta -
- e la porta era chiusa dall'interno - concluse sconsolato Farewell.
- Be', in caso contrario non ci sarebbe stato bisogno di abbatterla, non trovate? -
- La vostra ironia è fuori luogo, Finn. Non so se ve ne siate accorto, ma siamo nei guai fino agli occhi -
- Sorry, my old boy, ma sono pur sempre un inglese. So perfettamente che quella volpe negra ci ha incastrati per bene, e che se non risolviamo il mistero del delitto possiamo scordarci le bianche scogliere di Dover -
- Ma perché dobbiamo farlo noi? Shaka ha proclamato davanti a tutti che sarà la nostra «magia» a spiegare l'enigma. Il che significa, anche se non l'ha detto, che le nostre bionde teste sono in pericolo -
- È elementare, Farewell. Il Leopardo, anche se dovrei dire la Jena, in tal modo salva la faccia con i kingeni. Spostando l'attenzione sui due bianchi appare imparziale e sinceramente desideroso di far luce sulla morte di M'tinswayo. Tutti ormai sanno che la nostra «magia» è potente. Non siamo stati noi a guarire la sua amata madre dalle febbri? Questa è gente credula e superstiziosa, se non concludiamo niente con la faccenda del re morto la prima cosa che passerà per la loro testa è che l'abbiamo ucciso noi per chissà quali oscuri motivi -
Farewell diventò verde e, con un filo di voce, bofonchiò: - E allora che facciamo? -
- Intanto chiediamo a Shaka di restituirci la «borsa della magia» che mi ha sequestrato quando ho curato sua madre. Poi andiamo a fare un sopralluogo -
I due inghilisi, accompagnati dall'intera corte, si recarono alla prigione di legno. Qui giunti, ordinarono a tutti di restare fuori. Entrarono solo loro e Shaka. Il cadavere era riverso per terra con gli occhi sbarrati e mezza lingua penzoloni. Il caldo aveva fatto presto a rapprendere la pozza di sangue attorno alla testa. Già le mosche si affannavano sulla corta lancia che, conficcata nella gola, usciva dalla base della nuca e si infilava per quasi un palmo nel terreno. Il morto era stato inchiodato da un sol colpo di inaudita violenza, probabilmente mentre dormiva.
Finn si inginocchiò e cominciò a osservare il corpo da vicinissimo, percorrendolo minuziosamente. Farewell, da parte sua, scrutava ogni angolo, ogni trave, ogni spanna del pavimento con fare guardingo e concentrato. Finn frugò nella sua borsa di rimedi e strumenti medici, traendone una lente d'ingrandimento. Con quella ricominciò la sua ispezione. Farewell si diede da fare con la porta scardinata, portando la sua attenzione sul robusto saliscendi rimasto imprevedibilmente integro.
Tutte queste operazioni si svolsero sotto lo sguardo vigile di Shaka. Ritto, immobile come una statua, il terribile capo zulu sembrava non respirare. Ogni tanto i due bianchi gettavano una furtiva occhiata verso di lui, che incombeva su di loro e non ne perdeva la più piccola mossa. Nel silenzio opprimente si sentiva solo il ronzare degli insetti.
Finn a un certo punto si levò e chiese a Shaka di poter salire sul tetto. Lo zulu annuì maestosamente con un leggero cenno del capo. Uscirono tutti e tre nella luce accecante del mezzogiorno e, con un gesto imperioso, Shaka comandò a una guardia di fare da sgabello. L'uomo, lasciati lancia e scudo, si mise prono sulle mani e le ginocchia, offrendo la schiena. Un'altra guardia ci montò sopra, disponendosi nella medesima posizione.
Finn, scambiato un breve sguardo col collega, tramite quella scala umana si arrampicò sul tetto. Qui giunto, si pose bocconi sparendo alla vista. Dal frusciare dei suoi spostamenti gli astanti compresero che stava ispezionando ogni spanna.
Dopo una buona mezz'ora il suo busto ricomparve. Scese nello stesso modo in cui era salito, si riassettò gli abiti, lanciò un sguardo significativo a Farewell e finalmente si rivolse a Shaka davanti a tutti.
- Grande re. So come è stato ucciso M'tinswayo, ma non so da chi. Questo dovrai appurarlo tu e non ti sarà di certo difficile dopo che ti avrò mostrato quel che ho scoperto. Vieni e vedi -
Detto questo, entrò deciso nella prigione. A Farewell sembrò di scorgere un lampo di preoccupazione negli occhi di Shaka, ma era troppo preoccupato lui della sua sorte per farci caso. Se Shaka ebbe qualche esitazione non lo diede a vedere, perché seguì subito il medico bianco. Farewell gli tenne dietro e decine di occhi si affollarono alle spalle dei tre, con le teste che si urtavano curiose per non perdersi la rivelazione. Nessuno della corte, ovviamente, osava varcare la soglia, ma l'ambiente non era così vasto da impedire di vedere e sentire quel che vi accadeva.
Finn, postosi in piedi a cavaliere sul cadavere, alzò un braccio e indicò il soffitto. Tutti alzarono gli occhi e videro che additava un buco perfettamente rotondo, largo poco più di una moneta da una sterlina. Il sole a picco saettava un raggio, nettissimo nella penombra della prigione, proprio sulla fronte del morto.
- Grande re! - declamò Finn ad alta voce perché anche quelli di fuori sentissero L'assassino ha agito di notte, mentre il prigioniero dormiva. È salito furtivo sul tetto, ha fatto lentamente quel foro, ci infilato la iklwa e l'ha lasciata cadere. L'arma col suo peso ha infilzato M'tinswayo. Non so come abbia potuto non farsi vedere né sentire dalle guardie, dovrai interrogarle. Sii misericordioso con loro, è probabile che non abbiano responsabilità. L'assassino ha dimostrato astuzia e abilità tali da ingannare chiunque-
Farewell, capelli al vento, remava allegramente, mentre Finn, stesso umore, reggeva il timone della barca.
- Ora che ci siamo messi al sicuro, amico mio, volete dirmi come stanno realmente le cose? - fece con voce affaticata.
- Oh, niente di speciale, caro Francis. È stato lui- rispose con fare fintamente svagato il medico.
- Lui? Lui chi? -
- Shaka -
- Cooosa? -
- Bontà divina, vi prego di non smettere di remare, Farewell! Siamo ormai lontani dal kraal, sì, ma non ancora usciti dal territorio zulu! Vi dirò tutto mentre procediamo. Anzi, comincio subito. Sul manico dell'iklwa c'erano tracce di quella famosa tintura per capelli. Sapete, la pomata al nerofumo che Shaka trovò nella mia borsa e, saputo di che si trattava, si passò a piene mani in testa. È sui trentacinque anni ma ha già le tempie grigie, e lui ci tiene a mostrarsi immortale come quel dio che pretende di essere. Quasi sicuramente se la dava ogni notte. Una ditata l'ha lasciata anche su una delle mie lancette per salasso, il che mi ha spiegato come ha fatto a entrare nella cella -
- Ha infilato la lancetta tra la porta e lo stipite e, con la sottilissima lama, ha sollevato il saliscendi - rifletté Farewell col fiato corto Ma allora le guardie? -
- Le guardie si sono rispettosamente scostate quando è arrivato il Grande Zulu. Chi oserebbe contraddirlo? Zitte, sono rimaste al loro posto. E senza azzardarsi a guardare quel che Shaka stava facendo. Cioè, aprire piano, entrare e trafiggere M'tinswayo nel sonno. Poi, uscire, accostare la porta e andarsene -
- E come ha fatto a rimettere il saliscendi al suo posto? -
- Non l'ha fatto. Dimenticate che è stato lui a prendere la porta a spallate? Infatti, abbiamo trovato il saliscendi intatto, e non spezzato come avrebbe dovuto -
- Ma allora, il buco nel soffitto? -
- Ah, quello? Opera mia -
- Voi? A mani nude? - strabiliò il tenente.
- Sono stato fortunato. A furia di scrutare quel tetto ho trovato nel legno un nodo che doveva essere suppergiù a perpendicolo sulla faccia del morto. L'idea mi è venuta proprio allora. Il sole violento ha disseccato le assi tagliate di fresco. Il nodo, più duro, si è, per così dire, ristretto meno. E' bastato picchiarci sopra con le nocche ed è venuto giù. Il pavimento di terra ha attutito il rumore della caduta. Voi, che eravate tutti all'esterno, non avete sentito niente. Una volta entrati, mi è stato facile nasconderlo sotto il piede -
- mentre tutti, seguendo il vostro dito, guardavano in alto. Bravo, Finn! Mi sperticherò di lodi nel mio rapporto! Ma ora che farà Shaka? -
-Francamente me ne infischio. Sono convinto che abbia capito che io so, ma è furbissimo e ha colto lestamente l'occasione che gli offrivo. Deve aver intuito che M'tinswayo non si sarebbe mai piegato, perciò ha orchestrato il mistero. Poi, visto che gli inghilisi avevano risolto l'enigma, ha preso due palle con un solo penny: ci ha lasciati partire, mostrando ai suoi sudditi che la sua parola è sacra, e si è liberato di noi. Che sappiamo. Ucciderci? Due inglesi venuti in missione diplomatica? Non sarebbe stato saggio, almeno per ora. Non so quale malcapitato incolperà, ma nel suo entourage ci sarà senz'altro qualcuno atto prima o poi a fargli ombra. Le guardie che sanno la verità? Complici del traditore -
- Dio salvi il Re! - lanciò Farewell.
- Il nostro, of course! - completò sornione Finn.
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