da Venezia
Ed ecco apparire al festival Scarlett Johansson proprio come mamma l'ha fatta. Forse non esattamente una novità assoluta - ricorderete, in questi stessi giorni di due anni fa, gli autoscatti rubati della diva hollywoodiana che fecero il giro del web - però la dimostrazione di un bel coraggio per l'attrice newyorchese che il prossimo novembre compirà 29 anni. In un mondo in cui lo star system americano appare sempre più conformistico, la sua scelta di prendere parte al controverso Under the Skin, complicata trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo del belga Michel Faber (Sotto la pelle, Einaudi), diretta da Jonathan Glazer appare già come una notizia. E il nudo integrale frontale è un aggiunta piccante nella sua carriera anche se non scontata perché la burrosa attrice che agli chef veneziani ha chiesto di mangiare solo pesce non è una modella, e ha le sue belle imperfezioni che però non ha avuto timore di mostrare. «Difficile dire che tipo di film sia - racconta Scarlett Johansson - non credo sia proprio di fantascienza anche si presta a essere considerato così. In questo senso è un oggetto non ben identificato». Nel film, in versione inedita con capelli corvini e labbra rosso fuoco, interpreta una donna alla guida di un furgone bianco in giro per la Scozia dove adesca giovanotti. Poi li porta in luoghi indefiniti in cui si spogliano ma, prima di consumare il rapporto sessuale, vengono inghiottiti da un liquido amniotico che li prosciuga avvizzendoli. A poco a poco scopriamo che la donna non ha consapevolezza del proprio corpo che via via impara a conoscere (quando sta per avere un rapporto sessuale all'improvviso la vediamo di spalle illuminarsi le parti intime per capire che cosa ha tra le gambe). Fino a un drammatico epilogo dove la scopriamo essere un'aliena nel corpo di una donna.
«È stato difficile trovare una chiave d'interpretazione - ammette la star - perché come si fa a dare voce a una cosa? Un ruolo senza precedenti per cui ci sono volute settimane di riprese per capire meglio il personaggio». Girato da Jonathan Glazer, qui al terzo lungometraggio dopo i tanti videoclip per gruppi come Radiohead e Massive Attack, con un misto di realtà e finzione nelle scene degli adescamenti con 8 macchine da presa miniaturizzate nel furgone, Under the Skin si è rivelato una delle prove più difficili per l'attrice: «C'era un copione ma per alcune sequenze non lo rispettavamo alla lettera, così quando giravamo in ambienti reali eravamo abbastanza liberi. Ad esempio nella sequenza in cui cammino per strada e cado, ho potuto vedere la diversa reazione delle persone, c'è chi si fermava per aiutarmi ma anche chi tirava fuori il cellulare per riprendere la scena».
Il film, tutto giocato sulle atmosfere uggiose e su un'eco di mondi extraterrestri mostrati attraverso macchinari e suoni non particolarmente intellegibili, è naturalmente una metafora della condizione di chi è diverso. Così si spiega la sequenza dell'incontro della donna con un uomo dal viso deforme che il meccanismo alieno risparmia dall'eliminazione. Da quel momento la donna inizia un percorso di cambiamento: «Quella con Adam è stata una delle scene più difficili anche perché lui non è un attore. Cercava di proteggere la sua vulnerabilità.
Grazie a lui però la protagonista si libera dal giogo dell'adescamento degli uomini». Lontana da casa, nella brumosa Scozia, il ricordo di un set che l'ha più segnata in assoluto: «È stata un'esperienza spaventosa, ero terrorizzata. Devo dire però che alla fine è stata come una terapia per me».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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