Le nostre radici antiche affondano nel Mediterraneo

Un impianto thriller per una "cerca" filosofica tra miti greci, maestri di Sapienza, insegnamenti religiosi

Le nostre radici antiche affondano nel Mediterraneo

Il gioco di prestigio, in fondo, dimostra che l'uomo anela alle illusioni. Vuole credere che un corpo possa levitare, sparire, dividersi in due; che le ombre siano più veritiere della carne; che la morte non esiste. Alla foce della superstizione, forse, cova la profezia; l'ingenuità è l'anteprima dell'Eden. Gianluca Barbera, ecco, è un grande illusionista.

Bisogna conoscerlo: cappello a tesa larga, sorriso oceanico, generosità cruda, ti fa intuire, tra i colli più brutali della campagna senese, una tomba egizia, le tracce di El Dorado, il profilo ambrato di Shangri-La, un regno perduto e fittizio nel cuore dell'Himalaya. Ama i cani, ha un corpo taurino e una capacità logica micidiale: ha sempre ragione lui. La sua facoltà immaginativa è costellata di trappole. A dispetto dell'assurdo, non puoi non credergli: Gianluca Barbera è il grande corsaro della letteratura italiana contemporanea. Semplicemente, non puoi arginarlo. Tradotto con successo in Portogallo e in Brasile, Barbera si finge un nuovo Salgari: è passato dal romanzo «di pensiero» (Finis mundi, 2014), perché quella è la sua stazza (nel 2018 ha pubblicato con Mimesis una raccolta di interviste che mappano «il pensiero filosofico in Italia oggi»), a quello storico, rileggendo la vita di Magellano (2019) e di Marco Polo (2019). Con Il viaggio dei viaggi (2020) ha precisato il genio da esegeta di cronache fantastiche raccontando di Charles Darwin, di Robinson Crusoe, dell'allunaggio, elevando l'effetto morgana a opera narrativa.

Barbera innalza paraventi, evoca leggende agitando le candele, ha il vigore di un mangiafuoco: come uno storico bizantino (Michele Psello, per dire), sa artigliare un pettegolezzo costruendovi intorno un'epopea. Il lettore, in effetti, non attende altro. Per il protagonista del suo nuovo Mediterraneo (Solferino, pagg. 232, euro 17), tuttavia, Barbera ha scelto il nome di un generale, sagace e spietato: Belisario. Ambientato ai giorni nostri almeno, all'apparenza il romanzo racconta le peripezie di un padre (Giovanni Belisario, appunto) alla rincorsa di un figlio (Christian), in pericolo, tra Creta, Istanbul, Gerusalemme e gli altri mondi. Al livello immediato il thriller, per così dire segue, subito, quello profondo: Mediterraneo è un romanzo sapienziale, in competizione con Borges (citato spesso). L'incipit («Io qui celebro il mistero») risuona nell'ultimo capitolo, dove Einstein racconta la natura autentica del cosmo; il Mediterraneo, invece, si rivela un labirinto, cornucopia di miti, vita blu che divora ogni forma. La cerca del figlio specie di Graal incarnato è, secondo lo stile del genere, «rocambolesca», ma la si compie valicando il mito greco, scontrandosi con Spinoza e Platone, ascoltando la voce di Gesù e di Maometto, a passeggio tra i penetrali del Quinto Vangelo, nell'Amazzonia dei novantanove nomi di Allah, «I Bei Nomi, gli Attributi Divini».

Il progetto di Barbera folle, cioè appropriato a un outsider, a uno che non sta nella canea dei letterati, ma s'avventa, spericolato, tra gli ignoti è quello di raccontare il senso del mondo attraverso un romanzo mondano, cioè rapido, esigente, esagerato, «a orologeria». Certo, bisogna tenere fissa la regola aurea, la chiave che disserra i tesori del romanzo (ce la consegna l'autore a pagina 41): «La prima qualità dell'arte è l'illusione, che è anche una qualità del buio». Barbera costella il romanzo di depistaggi, di vicoli ciechi, di frasi fatali («È l'umanità intera che vive in ogni uomo»; «In ogni cháos c'è un kósmos, un ordine»; «Considera la vita come una sola grande preghiera»): cedere all'illusione può essere un gioco bellissimo e lascivo; o un giogo. Di certo, si raccontano storie per ustionare la notte e sfidare la fatalità con verbi in fiamme. Così, la ricerca reale del figlio porta fino al Figlio, il girotondo intorno al Mediterraneo conduce a scoprire la norma che regola le galassie, la ragione per cui, incessantemente, dal nulla nasce il tutto e viceversa.

Gianluca Barbera mi sembra il protagonista di Big Fish, straordinario ma poco

considerato film di Tim Burton: noi siamo la storia che sappiamo narrare, nostro unico lascito; l'incredibile è sul comodino. Le storie sono sassi che spaccano la metropoli di vetro dell'apparenza: non altrimenti si vince la morte.

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