Per il cinema italiano è un inizio di stagione parecchio nervoso. Sarà l'ansia da botteghino con i film di Venezia partiti male, sarà la paura dell'ormai inesistente pubblico - causa multiplex - per il cinema cosiddetto d'autore, sarà l'attesa per il verdetto del film che rappresenterà l'Italia agli Oscar, ma certo ormai basta un nonnulla, gli animi si scaldano e parte la polemica. Sterile in molti casi. Come quella di Paolo Mereghetti che sul Corriere della Sera difendendo il cinema d'autore contro una pubblicità di Sky sui cinepanettoni se la prende pure, senza neanche degnarsi di citarlo, con «uno dei massimi teorici nazionali del genere» ossia Marco Giusti. Ma tutto è iniziato pochi giorni fa con il verdetto della giuria della 69esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia a far inalberare Marco Bellocchio, rimasto a secco di premi per il suo Bella addormentata, scagliatosi contro un giurato e la sua accusa di provincialismo del nostro cinema (ma l'accoglienza dei film italiani al festival di Toronto direbbe il contrario). Giurato peraltro anonimo che, ripreso in prima battuta da Natalia Aspesi su Repubblica, il giorno dopo è diventato per Mereghetti addirittura il presidente della giuria Michael Mann. Non volendo dubitare della certezza di queste fonti ci permettiamo solo di sottolineare l'esagerazione di un grande regista come Bellocchio che ha preso carta e penna per difendere il suo cinema da voci anonime. Un nervosismo personale che però nasconde uno stato d'animo più generale, quello di un cinema italiano già attapirato a inizio stagione. Così non sembra proprio normale lo stillicidio che sta colpendo la commissione designata dall'Anica per scegliere la pellicola candidata dall'Italia agli Oscar nella sezione migliore film in lingua straniera. Come se ci fosse la fuga per non dover scegliere tra autorevoli favoriti come Bella addormentata di Bellocchio, Reality di Garrone e Cesare deve morire dei Taviani (ma c'è chi non esclude che potrebbe essere Diaz di Daniele Vicari a mettere d'accordo tutti). Pochi giorni fa i primi due piccoli indiani a cadere sono stati Paolo Sorrentino, che si è accorto solo ora dell'impegno delle riprese del suo nuovo film La grande bellezza, e Paola Corvino che si occupa delle esportazioni di Posti in piedi in paradiso autocandidato a sorpresa dal produttore De Laurentiis. Subito Angelo Barbagallo, designato a occuparsi della faccenda da Riccardo Tozzi (presidente dell'Anica e produttore del candidato Bella addormentata di Bellocchio), ha trovato due sostituti, Francesco Bruni (regista di Scialla!) e Nicola Giuliano storico produttore di Sorrentino. Che, però, quando ha notato nella rosa dei dieci film candidati la presenza di Diaz di Daniele Vicari di cui ha prodotto il bel documentario La nave dolce, ha correttamente deciso di tirarsi indietro. Ora urge sostituto perché la commissione, composta anche da Nicola Borrelli, Martha Capello, Valerio De Paolis, Piera Detassis, Fulvio Lucisano, Paolo Mereghetti, si deve riunire il 26 settembre. E forse ha proprio ragione Michele Anselmi, attento osservatore per Il Secolo XIX e Dagospia dei meccanismi dell'industria cinematografica, quando dice che «bisognerebbe tornare a prendere in giuria solo critici e giornalisti che possono avere le loro simpatie o antipatie ma certo dei remoti conflitti d'nteresse».
Tutti d'accordo, per ora, sui nomi di Carlo Verdone, Nicola Giuliano e Aldo Grasso come nuovi membri del Cda del Centro Sperimentale di Cinematografia presieduto dallo sceneggiatore Stefano Rulli che ha preso il posto di Francesco Alberoni i cui 10 anni di governo sono stati difesi solo dal direttore generale Marcello Foti in carica fino al 2015. Per tutti loro però si annuncia un autunno caldo in cui dovranno prendere delle decisioni, anche impopolari, per riuscire a far quadrare i conti e dare un nuovo slancio non solo alla didattica ma anche alla cineteca nazionale. Che è diretta da Enrico Magrelli fino a qualche tempo fa braccio destro plenipotenziario di Marco Müller alla Mostra di Venezia mentre ora sembrerebbe non seguirlo al Festival di Roma ai primi novembre dove il neodirettore Müller è alle prese con una polemica sul caro-biglietti.
Sommovimenti in vista anche al Torino Film Festival diretto per l'ultimo anno da un Gianni Amelio non proprio di buon umore visto che è stato già scelto il suo sostituto, il premio Oscar Gabriele Salvatores amico di Steve Della Casa direttore della potente Film Commission piemontese.
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