Pochi sembrano essersene accorti ma la peculiarità dei film italiani di questa Mostra del cinema è che non sono parlati in italiano. Una concentrazione di film che lavorano sul registro dialettale spaziando da una dimensione parlata molto «stretta» a una più italianizzata. Un cinema italiano con i sottotitoli in italiano, a conferma che non viviamo più in un sistema unicamente romanocentrico con il suo dialetto da Cesaroni. Così il cinema arriva (anche grazie alle Film Commission) in sala utilizzando i dialetti che possono, oltre che mostrare più realisticamente la realtà, sedurre chi non li capisce. È il caso del bellissimo L'intervallo di Leonardo Di Costanzo, uscito nelle sale con i sottotitoli, dove troviamo due adolescenti rinchiusi in un enorme edificio abbandonato di un quartiere popolare di Napoli che ci conquistano con il suono di quella loro lingua così musicale. Sempre nella sezione Giornate degli Autori e sempre in napoletano ecco Le cose belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno che tornano a raccontare gli stessi quattro ragazzi campani di un loro precedente documentario.
Più aspro è il suono del palermitano di È stato il figlio di Daniele Ciprì (nel tondo) in sala venerdì prossimo (peraltro girato in Puglia, a proposito della forza di attrazione delle Film Commission) che diventa irresistibile con le storie del personaggio di Nonno Fonzio puntualmente rifiutate, perché considerate superate, dal nipote. Molto più light la parlata toscana dei protagonisti di Acciaio di Stefano Mordini che vivono e muoiono intorno all'acciaieria di Piombino.
Radicale nella scelta dell'utilizzo della lingua, ma anche nel portare alle estreme conseguenze il romanzo del sardo Sergio Atzeni, è il regista Salvatore Mereu che con Bellas mariposas firma un'opera assolutamente originale ed estrema nel panorama del nostro cinema.
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