Gli Oscar non sono tanto abituati a vedersi sbattere la porta in faccia. In tutta la loro storia solo lo sceneggiatore Dudley Nichols nel 1936 e gli attori George C. Scott nel 1971 e Marlon Brando due anni dopo hanno rifiutato di ritirare la statuetta. Ora l'affronto - preventivo - arriva addirittura da uno straniero, il regista russo Andrei Konchalovskij che molto deve agli Usa dove s'era trasferito nei primi anni '80 quando l'Unione Sovietica gli rendeva impossibile la vita artistica. Lì ha girato film di successo come A trenta secondi dalla fine e Tango&Cash prima di tornare in patria in seguito alla caduta del Muro. Ora la novità è che Konchalovskij, uscito vittorioso dall'ultima Mostra di Venezia dove Le notti bianche di un postino ha vinto il Leone d'Argento, ha chiesto di non presentare il suo film come candidato russo al Premio Oscar per il miglior film in lingua straniera. Il cineasta, figlio del poeta Sergej Michalkov e fratello del regista Nikita che nel 1995 ritirò l'Oscar per Il sole ingannatore , ha spiegato le sue ragioni in una lettera al presidente della commissione russa per il premio Oscar Vladimir Menshov che entro domani dovrà trovare un film da sostituire. In questa fase, ogni paese sceglie il proprio candidato da proporre all'Academy hollywoodiana che nella seconda metà di dicembre stilerà una prima lista di nove candidati e l'Italia, con Il capitale umano di Paolo Virzì, tenterà di fare il bis dopo la vittoria lo scorso anno di Paolo Sorrentino con La grande bellezza .
Fatto sta che Konchalovskij ha scelto quest'occasione per sottolineare, nuovamente e coerentemente, le sue posizioni fortemente critiche verso l'«hollywoodizzazione» del mercato cinematografico russo dovuto, secondo lui, all'influenza negativa del cinema commerciale americano sulla formazione dei gusti e delle preferenze degli spettatori del suo paese: «Dopo Guerre stellari c'è stato spazio solo per un cinema per un pubblico di ragazzi. Una cosa che non fa per me». E, come se non bastasse, è entrato nel merito della categoria «miglior film in lingua non inglese» che è «assurda, una segregazione del cinema mondiale costruita dal mondo anglofono (Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) il che rappresenta l'idea superata del dominio culturale dell'Occidente».
Parole che tradiscono le posizioni oggi vicine a quelle del fratello Nikita, sostenitore di Putin. Già al festival di Venezia, dove il suo film Le notti bianche di un postino era stato giustamente acclamato, aveva parlato chiaramente: «Non è facile capire quello che sta succedendo in Ucraina che è un pericolo per la Russia, ma l'eurocentrismo impedisce di vederlo come tale. L'illusione nella mente degli europei è che la democrazia sia qualcosa di positivo comunque. Non vedono i suoi effetti in paesi come Iraq, Libia, Egitto, Tunisia, dove le elezioni hanno portato al potere dei dittatori. Vengo considerato un reazionario ma sono tranquillo. Oggi la democrazia vuol dire anche globalizzazione selvaggia e magari dipendenza rispetto a programmi televisivi massificati». E difatti il suo bellissimo lavoro, girato nel Nord della Russia sul Lago Kenozero che purtroppo non ha ancora una distribuzione italiana, ci mostra gli abitanti del paesino tenere spesso la tv accesa.
Una presenza quasi anacronistica visto che la vita sulle rive di quel lago sembra essersi fermata a un secolo fa.Ed è proprio l'amore con il quale il regista segue le vicende dei protagonisti di Le notti bianche di un postino a rivelare una forte nostalgia verso un passato della grande madre Russia che non ritornerà più.
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