Ridendo (e anche no) Culicchia prende a calci i luoghi comuni

Lo scrittore torinese mette in ordine alfabetico i tic e le idiosincrasie del mondo culturale italiano. E non solo

Ridendo (e anche no) Culicchia prende a calci i luoghi comuni

Le cose più cattive, e più vere, sia sul mondo in cui viviamo sia sulla gente che ci circonda, si possono dire in due modi. O scherzando, facendo però finta di dirle sul serio, come fanno i comici da cabaret. O dicendole sul serio, facendo però finta di scherzare, come fanno gli scrittori satirici. Anche le forme sono due: o la battuta sul palco o la voce di un dizionario.Ecco, Giuseppe Culicchia, che non è un comico (anche se i suoi reading a volte lo sono) ma uno scrittore, ha scelto di dire cose divertenti, e a volte ferocissime, stando sul palco di un libro Einaudi, ma infilandole dentro un «Dizionario della nostra stupidità», che è il sottotitolo del suo divertentissimo pamphlet alfabetico Mi sono perso in un luogo comune (Einaudi).

Siamo nell'area intellettuale del Castigat ridendo mores, se «intellettuale» non fosse già di per sé una parola che fa ridere, e tutto quanto non fosse un insopportabile luogo comune. Perché non c'è nulla di più banale dal punto di vista linguistico e più stupido dal punto di vista culturale di un luogo comune (a parte forse il «politicamente corretto», con cui peraltro a volte coincide). Comunque. Giuseppe Culicchia - romanziere, traduttore, torinese, granata, flaubertiano - riesce a smascherare tutta la superficialità, l'ignoranza e l'ipocrisia che serpeggiano nei nostri discorsi, infestando la società, dalla politica alla vita quotidiana, dai salotti cultuali al tinello di casa (esempio, Vicini di casa: «Sempre normali, specie quando commettono una strage»).Nei luoghi comuni è facile perdersi, e attraverso le voci di un dizionario è facile trovare il modo giusto di dire cose scomode. Ecco perché un «dizionario dei luoghi comuni» è un libro a doppio taglio. E alla fine, tutti restano feriti.

Culicchia ferisce dentisti, politici, commercianti («Tutti ladri»), omosessuali (Deviati: «Un tempo lo erano gli omo... pardon, i gay. Lo possono essere i servizi segreti»), Ebrei («Autoproclamatisi popolo eletto, sono vittime di razzismo. Dopo quello che hanno passato, hanno sempre ragione...

Tenere presente che qualsivoglia critica anche minima alla politica estera dello Stato di Israele comporta l'iscrizione d'ufficio nella lista degli antisemiti»), i tic dell'informazione (Estate: «Quella in corso è sempre la più calda del secolo»), le fobie salutiste (tutto fa venire il cancro), il conformismo dell'anticonformismo (si veda la voce Canne ad esempio)...Un eccellente manuale della cultura italiana, alla fine: per sopravvivere alla condanna di essere italiani.

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