Dalla ritrosia impenetrabile di Bob Dylan all'understatement anglo-nipponico di Kazuo Ishiguro. Due caratteri opposti: quanto schivo e diffidente il primo, tanto disponibile e affabile il secondo. Dodici mesi fa il cantante statunitense aveva atteso settimane prima di accettare il Nobel per la letteratura. Ieri, Ishiguro ha addirittura accolto una troupe della Bbc a casa sua per esprimere «sorpresa e onore» per la scelta dell'Accademia di Stoccolma. «Sono della vecchia scuola, finché la Bbc non mi ha chiamato per intervistarmi, credevo che fosse tutto uno scherzo».
Perché tutta questa diffidenza?
«Non ho mai pensato in vita mia di vincere il Nobel, so che il mio nome era stato menzionato in passato tra i candidati, ma erano solo voci. Purtroppo viviamo in un mondo di fake news, ero diffidente».
E qual è stata la sua reazione quando l'ha chiamata l'Accademia?
«È stata una telefonata molto gentile. Mi ha stupito, pensavo che il tono, in queste circostanze, fosse molto più formale. Ho avuto la netta sensazione che pensassero che non sarei intervenuto alla cerimonia di dicembre. Invece ci sarò».
Diversamente da chi l'ha preceduta.
«Mi sento profondamente onorato di questo premio. Penso che il Nobel sia un'istituzione da rispettare. Stiamo vivendo tempi di estrema incertezza, spero di riuscire a portare, attraverso i miei libri, un messaggio di positività».
A chi ha rivolto il suo primo pensiero dopo la telefonata dell'Accademia?
«Ero felice perché in qualche modo mi sono sentito sulle orme di tutti quei grandi scrittori che hanno vinto il Nobel prima di me, e che sono stati i miei maestri. Ma ho anche avvertito un leggero imbarazzo per gli altrettanto grandi scrittori che non l'hanno mai vinto».
Quando ha cominciato a scrivere sognava il Nobel?
«Assolutamente no. Il mio obiettivo è sempre stato cercare di scrivere buoni libri. I riconoscimenti fanno ovviamente piacere, ma sono solo consequenziali».
Il suo lavoro è stato accostato a quello di Jane Austen, Kafka, Proust. Cosa ne pensa?
«Sono citazioni che mi lusingano. Adoro i libri di Austen, ma forse le preferisco Charlotte Brontë, mentre non credo di valere neppure una frazione di Kafka. Proust può essere noioso e insopportabilmente snob. Ma quando raggiunge l'eccellenza è inarrivabile. Mi è stato di grandissima ispirazione, sopratutto nei miei primi libri».
È nato in Giappone ma ha trascorso quasi tutta la sua vita in Gran Bretagna: si ritiene uno scrittore giapponese o britannico?
«È una domanda che mi perseguita. Alla quale non ho risposta. Mi sento uno scrittore internazionale, che ha studiato, accumulato esperienze, viaggiato nel mondo. Ho una formazione certamente giapponese, della quale sono orgoglioso, ma non scrivo solo di Giappone».
Come cambierà la sua vita ora?
«Non ci ho ancora pensato, ma non vorrei che i miei prossimi lavori venissero scrutinati con un'attenzione differente solo per via di questo premio. E per quanto mi riguarda personalmente, non vorrei lasciarmi distogliere dalle piccole occupazioni quotidiane che riempiono le mie giornate».
Lei raramente si è occupato dei tempi attuali, preferendo rivolgere lo sguardo al passato. Come racconterà questi anni?
«Non sono un giornalista. In passato ho commentato l'attualità quando mi è stato chiesto. Ma il mio mestiere è scrivere, ovvero fare un passo indietro e osservare le relazioni tra le persone e quelle con il potere».
La letteratura può davvero fare la differenza, a livello politico-sociale, nella società in cui viviamo?
«La mia più che altro è una speranza. E anche un'ambizione. Tutti noi abbiamo determinate responsabilità verso gli altri.
Cosa le resterà di questo giorno?
«L'enorme stupore. Ho sempre pensato che il Nobel venisse assegnato solo ai vecchi scrittori. Purtroppo oggi mi sono accorto che non sono più giovane».
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