Un viaggio tra i mostri del cinema di fantascienza

Luca Gallesi

Il costoso blockbuster cinese The Great Wall, di Zhang Yimou e con Matt Damon protagonista, è sicuramente un bel film d'azione e d'avventura, ma, usciti dalla sala, si prova una vaga sensazione di deja vù, come se il film ci avesse proposto qualcosa di familiare, di già visto in altre pellicole. Questa impressione è diventata certezza leggendo Il cinema dei Nuovi Mostri, (Profondo Rosso, pagg.326, euro 24,90), un dettagliato e provocatorio saggio di Luigi Cozzi, che sin dalle prime pagine svela il mistero: gli spaventosi mostri che assaltano la Grande muraglia sono straordinariamente simili agli zombie di WorldWarZ, che a loro volta ricordano i demoni di La Mummia 2, i primati dei recenti Planet of the Apes, i guerrieri mostruosi del Signore degli Anelli, i Morlock del rifacimento di The Time Machine e molti altri cattivi che appaiono dei film degli ultimi anni, tutti realizzati sfruttando lo stesso programma digitale per gli effetti ottici! L'effetto horror diventa inefficace, e si comincia a provare un'acuta nostalgia per gli ingenui mostri degli Anni '50, '60, e '70, meno tecnologici ma molto più convincenti.

Il libro corre sul filo della nostalgia per un tempo nel quale la fantascienza era considerata un sottogenere. Ovviamente, sottolinea Cozzi, a quei tempi, la critica dei giornali di sinistra guardava con snobismo al genere fantastico, horror e fantascientifico, pericolose distrazioni dai veri problemi sociali e politici. Poteva quindi capitare che gli snob progressisti prendessero qualche imbarazzante granchio: accadde infatti che nel caso di Fahrenheit 451, celebre pellicola di Truffaut ispirata al capolavoro di Ray Bradbury, ci fu quello che Cozzi chiama un «generale ravvedimento critico» (che probabilmente interessò lo stesso Cozzi, a quei tempi vicino alla fantascienza progressista).

Nel 1971, il quotidiano di sinistra Paese Sera, in occasione del primo passaggio televisivo del film definì quello di Truffaut un film debole, un'opera minore, una brutta copia di Hitchcock, critica seguita il giorno dopo, sempre su Paese Sera da una rettifica, una specie di contrordine compagni, in cui si definiva Fahrenheit 451 una «pellicola insolita, forse difficile ma comunque bella e soprattutto raffinata e intelligente».

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