Potete chiamarlo in mille modi diversi. Chiamatelo miracolo dello sport, chiamatela rinascita di un Paese dilaniato da anni di guerra, chiamatelo inaspettato patriottismo di un popolo che fatica quotidianamente a cementare la propria unità. Ma le foto rimangono comunque impressionanti e raccontano una nazione che ha voglia di dimenticare distinzioni tra etnie e religioni. Di emergere. Di dire «ci siamo anche noi». «Questi ragazzi ce l'hanno fatta perché fin dal primo giorno si sono rispettati l'un l'altro. Questa è la strada: rispettiamoci l'un l'altro, vi prego!», ha urlato alla folla Josip Pandza, l'allenatore 28enne che ha portato la nazionale under 16 di basket della Bosnia Erzegovina sul tetto d'Europa.
Erano in 50mila l'altra sera in Titova street a Sarajevo per accogliere i loro giovani eroi, tutti nati a cavallo del nuovo millennio. Ragazzi che non hanno conosciuto gli orrori della guerra ma che vivono quotidianamente le fatiche della ricostruzione. Oltre ai cittadini della capitale, tanta gente è arrivata dalle città vicine e dai villaggi della Bosnia centrale per celebrare un'impresa quasi incredibile. Un cammino fino all'oro europeo dove si intrecciano sport, politica e storia.
Perché prima dei quarti di finale dalla federazione bosniaca non erano ancora arrivati i 10mila euro di iscrizione al torneo e anche i giocatori erano ormai convinti di dover fare le valigie; perché a salvare il destino della nazionale ci ha pensato una catena della grande distribuzione; perché la vittoria è arrivata in uno sport dove i cugini serbi sono vicecampioni del mondo in carica; perché la Bosnia non aveva mai vinto nulla prima d'ora.E il paragone con l'Italia è impietoso. Ieri la nazionale under 18 di pallavolo femminile fresca campionessa del mondo è sbarcata a Fiumicino. Ma non chiedetevi se l'aeroporto è andato in tilt.
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