Londra Poco più di un mese dall'inizio della Premier League e la panchina di Antonio Conte già scricchiola. Non tanto, non solo, per la brusca frenata delle ultime partite. Quanto per la mancanza di feeling con Roman Abramovich, il patron dei Blues, famoso per la smodata ambizione, inversamente proporzionale alla pazienza.
Conte non è mai stato la prima scelta del magnate russo che prima dell'ex ct azzurro aveva sfogliato la margherita. Accantonata l'utopia Pep Guardiola, già promesso al Manchester City, aveva bussato alla porta di Diego Simeone, incassando un altro no. Forse perché l'argentino era consapevole che la panchina del Chelsea è preziosa (a livello salariale) quanto instabile, per via proprio degli umori altalenanti di Abramovich. Ne sanno qualcosa due fuoriclasse come Carlo Ancelotti e Josè Mourinho, entrambi dimissionati a lavori in corso, senza particolari riguardi. Abramovich è così, esigente ben oltre l'ingerenza. Ancelotti ha raccontato che dopo ogni sconfitta riceveva puntuale un laconico sms del milionario russo, una punto interrogativo con implicita richiesta di spiegazioni. Le stesse ora pretese da Conte.
Le tre vittorie di fila in apertura di stagione sono già preistoria. Nelle ultime due settimane qualcosa si è inceppato: tre incontri, due sconfitte, un solo punto. E la testa della classifica già distante sei lunghezze. Dopo la battuta d'arresto casalinga contro il Liverpool si è saputo che Abramovich, letteralmente infuriato, aveva convocato un vertice d'emergenza con i suoi più stretti consiglieri. Sul banco degli imputati proprio Conte, accusato di aver sbagliato tattica e cambi. La batosta contro l'Arsenal è un secondo campanello d'allarme. «Continuo a lavorare, non mi sento in bilico», così il tecnico pugliese.
Conte certo non si nasconde, ma chiede
ai suoi giocatori di essere una grande squadra non solo sulla carta ma soprattutto in campo. «Perchè è il campo che parla», spiega con il suo inglese ancora zoppicante. Chissà se gli verrà dato il tempo di perfezionarlo.
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