Gigio ha una strepitosa familiarità con i calci di rigore e zero con microfoni e taccuini. Durante gli ultimi mesi vissuti a Milanello - quando si è capito l'esito finale della trattativa - comunicazione e staff rossoneri lo hanno tenuto al riparo dalle interviste. L'unico momento di tensione fu vissuto a pochi giorni da Juve-Milan, considerato lo snodo decisivo per il piazzamento in Champions dei due rivali storici. Sappiamo come andò quell'incontro tra portiere e ultrà della curva sud: gli uni gli chiesero di non giocare la partita, immaginando che avesse scelto la Juve; l'altro garantì che sul futuro avrebbe deciso con la sua testa. Ne patì il rendimento: sbavò un paio di uscite che, solo per fortuna, non incisero sul risultato poi favorevole al Milan. Anche al ritorno da Wembley ha fornito conferma dell'allergia alle interviste. Dopo aver confessato il proprio stordimento seguito al secondo rigore respinto, ha ripetuto la favoletta: «Resterò sempre tifoso del Milan». Alle orecchie dei suoi ex tifosi, quella frase - adesso che si è trasferito a Parigi, a zero, lasciando il club per il quale è tifoso, a bocca asciutta, dopo essere arrivato da bambino, diventando ragazzo, pagato profumatamente lui e il fratello Antonio - ha il sapore della beffa. Ha aggiunto: «È venuto il momento di cambiare e di crescere». È un vero peccato perché non era il caso di rovinare il quadro d'autore di Wembley.
A furia di dare ascolto al suo inaffidabile consigliere ha finito col servire un piatto indigesto alla Comunità che gli ha riconosciuto il ruolo decisivo durante l'europeo e le prodezze sui rigori. A Parigi adesso avrà la scusa di non conoscere la lingua: a stare zitto ci guadagnerà di sicuro.
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