Maxicaduta nel volatone il sortilegio della 3ª tappa

Vince Goss, Ferrari abbatte Cavendish e la maglia rosa Phinney. Ma la trasferta al Nord si chiude con un successo di folla e incasso

Maxicaduta nel volatone il sortilegio della 3ª tappa

Horsens - E speriamo sia finita. Tutti i Giri, persino i più lisci e tranquilli, devo­no pagare una tassa agli insondabili sortilegi dell'esistenza. Ma la giorna­ta­ di Horsens si porta dietro un sovra-dosaggio di mestizia che ha tutti i connotati di una vera maledizione, né più, nè meno.

Giàsicominciaall'alba,conleban­diere della Danimarca a mezz'asta: la città rende omaggio al suo sinda­co sfortunato, l'ex parlamentare Jan Trojborg, morto 56enne alla vigilia dellafestarosa, cui lavorava con pas­sione da un anno e che aveva deciso di attendere pedalando con il suopo­polo in un folkloristico raduno do­menicale. «E' tutto pronto, ci vedia­mo lunedì», aveva detto al patron Mi­chele Acquarone. Ma all'appunta­mento non si è presentato: un infar­to se­l'è portato via mentre assapora­va il suo relax più amato. Coinciden­za incredibile e assurda, come solo il destino sventurato degli uomini sa inventarsi nei momenti migliori.

Così, tra bandiere a mezz'asta, il difficile dilemma: fermare la tappa o ripartire? Al raduno mattutino, Ac­quarone racconta i momenti della decisione: «Eravamo pronti a fer­marci. Poi però è risultata decisiva la volontà della famiglia, moglie e figli dell'amico Trojborg. Ci hanno fatto sapere che lui avrebbe voluto co­munque la corsa. Fate il miglior Giro possibile, ci ha detto la signora. Eallo­ra noi faremo di tutto per onorare il suo desiderio».

Il Giro ricomincia alla memoria. Alladoppiamemoria. Dalungotem­po questa, la terza, è già la tappa che ricorda Weylandt, il ragazzo belga morto nella terza tappa dell'anno scorso cadendo in discesa, esatta­mente un anno dopo la sua prima vit­toria al Giro, manco a dirlo nella ter­za tappa.

LoscenariodiHorsens, apochiat­timi dal via, è ad altissima intensità emotiva: davanti al gruppo schiera­to, nel silenzio profondo del minuto di silenzio, a salutare i ragazzi della bicicletta ci sono due famiglie che a questa bicicletta hanno sacrificato gli affetti più belli. La famiglia di Wei­landt, invitata da mesi, e la famiglia del sindaco, arrivata perché in qual­che modo sia presente anche lui. Non c'è bisogno di molte parole: par­lano molto di più sguardi ed emozio­ni.

Poi,tragliapplausidiun'interacit­tà, il gruppo muove per l'ultima gara sul territorio danese. A cento metri dalla fine, però, l'ultimo tributo alla maledizione: è qualcosa di infinita­mente più sopportabile, ma certo in sintonia con la fragilità della giorna­ta. C'è lo sprint. Mentre l'australiano Goss va a vincere, Ferrari commette una colossale stupidaggine, passan­do improvvisamente da un lato all'al­tro del vialone: in un colpo solo, ab­batte il campione del mondo Caven­dish, un tot di colleghi, ma soprattut­to la giovane maglia rosa Phinney. Sarà proprio il prodigio americano, volto nuovo e personaggio rivelazio­ne di questo avvio, a rimetterci di più: ha un piede ferito, lo portano all'ospedale per ricucirlo, spera di recu­perare dal dolore e dalla paura nella giornata di riposo.

Sì, è una giornata maledetta, ma c'è da sperare che il sinistro pedag­gio del Giro 2012 si chiuda subito qui, condensato in una tappa. Volan­do verso Verona, ci portiamo tutti a casa almeno una dolce e malinconi­caconsolazione: questa partenza da­nese, come quella di due anni fa ad Amsterdam, resterà nella memoria come un successo clamoroso. Folla, calore e anche tanto denaro (2 milio­ni) che difficilmente in Italia è ancora possibile trovare.

Assieme alle au­to veloci e alle scarpe, alla moda e all' arte, abbiamo esportato anche questa eccellenza italiana, gloriosomar­chio rosa che questi Paesi ci invidia­no. Pertregiorni, abbiamoriassapo­rato l'orgoglio d'essere italiani, ammirati e rispettati. Non è poco, dopo tanti mesi di vergogne.

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