A chi si meraviglia della prova deludente della Nazionale campione d'Europa venerdì sera a Roma, contro la Svizzera, va ricordato forse in maniera molto brutale, la realtà: questi siamo. O meglio ancora. Non è utile confondere quella striscia magica tra giugno e luglio 2021 conosciuta dall'Italia di Mancini, sospinta da una condizione esuberante, un gioco molto coraggioso e da uno spirito collettivo da vera squadra, con la dimensione assoluta del calcio italiano. Storicamente, tra l'altro, non è la prima volta che capita un go and stop del genere: i campioni del mondo di Bearzot (1982) non riuscirono a qualificarsi per l'europeo successivo, eliminati dalla Romania (5 punti in 8 partite, sconfitti da Cipro) trascurando poi che partecipammo al mondiale '86 (Messico) da campioni in carica e a quello successivo ('90) quale paese organizzatore, perciò senza conquistare sul campo la relativa qualificazione.
Questi siamo, allora, avendo certezza di non essere i più forti d'Europa ma di essere stati i più capaci, i più brillanti, i più bravi, i più propositivi nel gioco e i più organizzati. Il confronto impietoso con il cammino delle squadre di club, peraltro piene di stranieri, dovrebbe convincere. Dal 2010 (Inter campione d'Europa), abbiamo avuto la Juve di Allegri in finale di Champions due volte, Conte semifinalista di Europa league con la Juve e l'Inter dello stesso Conte finalista. Fine.
Questi siamo ma potevamo fare sicuramente meglio per guadagnare il successo sulla Svizzera che si è affacciata due volte in 95 minuti: la prima con il gol sul quale gravano le responsabilità di Donnarumma e Di Lorenzo; la seconda volta col pasticciaccio del portiere azzurro, rimediato da Bonucci. In queste ore, Gigio si è finalmente accorto del burrone nel quale l'ha sospinto il suo agente, mandandolo al PSG dove c'è la concorrenza agguerrita di Navas (tre Champions in bacheca). «La rivalità con Navas mi disturba, le panchine fanno male» la confessione recente. Di sicuro gli hanno tolto occhio e sicurezza, qualcosa del suo noto talento. Poi c'è da fare i conti con il bollettino di guerra proveniente dallo spogliatoio di Coverciano. Gli ultimi tre della lista (Calabria, Bastoni e Biraghi) hanno messo Mancini con le spalle al muro. Ma il nodo è sempre lo stesso: con Immobile ko, Belotti con le gomme sgonfie e Raspadori acerbo, la nazionale ha perso il suo artiglio principale. Forse a Belfast è il caso di puntare su Scamacca che ha fisico e ignoranza per vivere una sfida decisiva senza indietreggiare di un centimetro. In Irlanda è indispensabile vincere e vincere largo, per evitare la tortura del conteggio della differenza reti ma bisognerà allestire uno schieramento che non sia schiavo dell'europeo inglese.
Tra Barella semi-acciaccato e Tonali, pimpante, meglio il milanista in questa curva della stagione per non parlare del contributo ridotto al lumicino di Locatelli quando c'è da inventare un lancio, una inbucata. A scavare tra i riservisti, il ct ha pescato Zappacosta rilanciato dall'Atalanta. Sarebbe stato egualmente utile Darmian che con l'Inter - edizione Conte e gestione Inzaghi - è diventato un puntello essenziale.
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