Il profetico Seba Veron, vecchia conoscenza del calcio nostro e dell'Inter, non aveva avuto dubbi: voto Lautaro uomo partita. Ma sono di parte, aveva aggiunto quasi a significare che al cuore di bandiera non si comanda. E quando è svettata al gol la testolina del Lautaro, capitan Speranza dei cuori nerazzurri, il mondo Inter avrà pensato che Veron è bravo negli assist anche senza più essere in campo. Ma al di là delle palle di vetro a cui chiedere risultati e gol, qui conta la magia che ha trasformato il Lautaro, figlio di popolo tifoso, nel terribile fustigatore dei derby milanesi. Forse conta qualcosa il mondiale vinto in groppa al cavalier Messi e ai compagni suoi. Lautaro è tornato trasformato nella testa più che nella tecnica, nella quale era già un ragazzo da classifica top. Non altrettanto top nel mettere la palla in rete. Intendiamoci niente male le sue statistiche, ma accompagnate da qualche vuoto di troppo, da momenti di incoerente abulia con quelle che sono sempre state le attese. Lautaro non si è mai tirato indietro: i numeri dicono che ha sempre regalato tre-quattro assist a partita, così come i passaggi che la statistica annovera a circa 21 per ogni match. Insomma un bel lottatore, che la vicinanza di Dzeko ha solo migliorato. Altro che Lukaku. Ma poi ci sono stati i derby e il ragazzino si è fatto matador, per quel tanto che perfino Messi potrebbe invidiare. Il derby è una sfida che va al di là di un ricordo, di un agonismo fine a se stesso, di una avventura calcistica da raccontare. Il derby è la Partita e Lautaro sta diventandone il suo narratore, l'attore da titoli di testa e di coda. Quella di ieri è stata la settima rete in 12 sfide milanesi, un settebello che non resterà inosservato nel libro dei Guinness inserendolo nella classifica dei top 5 marcatori dei derby come Altafini, Boninsegna e Altobelli. Insomma uno spicciolo di storia imperitura è conquistato.
E va detto che Lautaro, nel meraviglioso quadro dipinto dalla folla di San Siro, ha provato in ogni modo a lasciar la firma d'autore. Il primo tempo è stata una sorta di tempesta calcistica sul Milan nella quale ha provato di tutto: di testa, che poi non è la sua miglior specialità, e di piede. Ha trovato l'opposizione intrepida del Tatarusanu, tanto sbeffeggiato dalla folla milanista, ha pescato invece l'inconsapevole connivenza del Kjaer non proprio muro difensivo. E il gol è arrivato dopo 34 minuti, ed almeno altre quattro occasioni che il Toro, stavolta vero toro non torello, si è creato con autorevole intraprendenza. Vedendolo laggiù, sul prato di San Siro, è tornato in mente il Lautaro un po' scornato, costretto a sedere sulla panchina argentina dopo le prime partite mondiali da titolare. Evidentemente anche la panca insegna a lottare e soffrire.
E questo Lautaro così milanese, e così interista, ha dimostrato che anche la fascia al braccio, simbolo di una fedeltà da altri ripudiata, è meritata quanto i gol: uno dei pochi casi del calcio in cui nulla capita per una bizza del destino.
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