di Benny Casadei Lucchi
Occhiali neri. Come saracinesche sul mondo che lo osserva e scruta e giudica e critica e a volte persino lo odia. Occhiali neri. Come uno scudo dagli insulti che in marcia sicuramente raccoglierà. Occhiali neri. Come un mea culpa, come l'onesta e silenziosa ammissione di un uomo che è stato disonesto e per questo sa di non poter guardare dritto negli occhi quel mondo che ha tradito tradendo se stesso. Dopandosi, affondandosi, distruggendosi.
La marcia verso la redenzione del reietto Alex Schwazer è accompagnata dal primo metro ma non fino all'ultimo metro da quel paio di occhiali neri. Quarantanove chilometri e cinquecento metri affrontati sudando, faticando, soffrendo nell'oscurità come fossero la meravigliosa metafora di questi quattro anni vissuti da reietto e sputtanato sprofondato nell'oblio e nel mal ricordo di tutti.
Occhiali neri. Rappresentano vergogna, imbarazzo, debolezza, timidezza, insicurezza, solitudine. Li indossavano anche altri, non li portavano tutti, alla fine li ha tolti solo lui. È successo a mezzo chilometro dall'arrivo, fuori dallo stadio delle Terme di Caracalla, monumento, storia, bellezza. Cose che si ricordano. E ricorderemo tutti Alex che con la gara ormai in pugno si leva gli occhiali neri, li ripone con cura in un sacchetto mentre continua la sua danza strisciata. Occhiali neri. Messi via.
Per entrare nello stadio, per guardare finalmente in faccia tutti senza più la vergogna del reietto. Occhiali neri. Messi via. Per farsi finalmente guardare lui dritto negli occhi... Occhi che dopo quattro anni sembrano di nuovo chiari. Puliti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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