Cè una bella preghiera della tradizione cattolica che ci ricorda: «Padre nostro non ci indurre in tentazione». Sono passati un po di anni, ma sembra che la lezione, laica, laicissima, di questa antica preghiera non labbiamo proprio imparata. E ai nostri politici affidiamo metà della nostra vita, inducendo loro ogni secondo in tentazione. Il caso del governatore Piero Marrazzo che con i nostri soldi si è regalato un pasto da più di mille euro, ci aiuta a capire come affrontare il tema oggi così di moda degli sprechi di Stato.
Davanti a noi ci sono due strade: la prima è pretendere con passione illuminista che chi ci governa sia un fenomeno della legalità e della buona amministrazione. Il secondo è affidare a chi ci amministra meno risorse possibili, limitandone lambito di intervento.
Quando uno Stato come quello italiano recupera dalle tasse dei cittadini ogni anno 750 miliardi di euro e cioè metà della nostra ricchezza prodotta, la saggezza della nostra preghiera va a farsi benedire. La tentazione è dietro langolo. Talvolta essa si esplicita nella nascita di progetti di spesa dal sapore solidale e condivisibile (lo sviluppo, lambiente, luguaglianza, la tutela del più debole) e talaltra si riduce al piccolo privilegio del momento.
In «Sprecopoli» (la tentazione dellautocitazione è irresistibile) con Mario Cervi abbiamo ricordato almeno due esempi di politici virtuosi, ma caduti, almeno una volta, in tentazione. Luigi Einaudi invitava al Quirinale e divideva la mela avanzata a colazione con lospite di turno. Eppure non ha resistito a chiedere listituzione di una Pretura nella sua Dogliani. Raffaele Costa ha regalato allItalia almeno venti anni di battaglie meritorie contro la burocrazia costosa e inefficiente. Eppure da presidente della sua provincia, ha giustificato lesistenza di un ente così inutile.
Certo il caso Marrazzo è macroscopico: mangia e beve alla grande mentre la sua regione non è in grado di pagare le autoambulanze.
È questo il punto: non basta, come taluni dicono, «riqualificare la spesa». Non è sufficiente avere «amministratori parsimoniosi» e moraleggiare su eroi del risparmio. No, la soluzione è meno letteraria. Lo Stato si deve occupare di meno cose e magari spendere di più su ciò per cui deve la sua esistenza: giustizia, ordine pubblico, sanità e istruzione. E non è poco.
I pasti di Marrazzo ci scandalizzano. È ovvio. Così come le auto blu, le case, gli uffici, le consulenze, i viaggi e le prebende. E il Giornale non passa giorno senza denunciarne lenormità dello scialo di Stato. Ma senza perdere di vista che il problema è a monte.
Nicola Porro
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