Svizzera nel torto: i patti si mantengono

La Confederazione reclama per i severi controlli italiani nelle banche e minaccia di sospendere la firma al trattato di cooperazione tributaria. Ma lo aveva concordato per uscire dalla lista nera dei paradisi off-shore

Svizzera nel torto: i patti si mantengono

La reazione svizzera alle azioni della Guardia di finanza, riguardanti la lotta all’evasione fiscale è certamente eccessiva, anche se qualche ragione il governo elvetico ce l’ha, di lagnarsi con noi, in relazione ai controlli a tappeto sulle filiali italiane delle banche svizzere per verificare le posizioni dei cittadini italiani. Ma la Svizzera si è messa dalla parte del torto, con il sospendere la firma del trattato di cooperazione fiscale con l’Italia. Esso fa parte dei trattati che la Confederazione elvetica ha promesso di sottoscrivere, come condizione per uscire dalla lista nera dei paradisi fiscali, ossia, in termini tecnici, la lista dei «Paesi a regime fiscale privilegiato» per i quali l’Europa adotta misure tributarie di disfavore. E, grazie a questa promessa, la Svizzera è già uscita da tale lista nera. E quindi ha già avuto la contropartita a compenso della promessa di sottoscrivere il trattato di cooperazione tributaria con l’Italia.
Le promesse vanno mantenute.

Ovviamente non è desiderabile che la Svizzera rientri nei Paesi «a regime fiscale privilegiato», come le Bahamas o le Isole Cayman. Non sarebbe né logico né giusto, in quanto le sue banche sono banche serie e importanti e la Costituzione svizzera è quella di un Paese libero e democratico. Si cerchi, dunque, di ragionare a mente fredda. Se è vero che sono state sottoposte a verifica tutte le filiali di banche svizzere in Italia e nessuna altra filiale di banca estera o italiana, per accertamenti riguardanti la posizione di clienti italiani, che hanno conti esteri, una discriminazione nei riguardi di tali banche ci può essere stata. In generale, gli accertamenti bancari per fini fiscali sono una cosa molto delicata. E ciò, in particolare, è delicato in un periodo di difficoltà bancarie. D’altra parte l’Italia non può non eseguire i controlli relativi ai contribuenti che possono avere commesso reati di evasione e frode fiscale, mediante banche estere, dato che tale azione si collega alla sanatoria delle posizioni irregolari, mediante lo «scudo fiscale».

Se la nostra amministrazione finanziaria non facesse questi controlli, il «perdono» insito nello scudo fiscale sarebbe un regalo agli evasori, non un mezzo per consentire loro di mettersi in regola e fare emergere i capitali nascosti all’estero. Aggiungo che per i capitali occultati negli Stati diversi da quelli a fiscalità privilegiata, il «rientro» in Italia richiesto per usufruire dello scudo fiscale non ha carattere reale, ma solo formale. In altre parole, tali capitali possono rimanere nelle banche estere in cui sono ora, ma, per beneficiare dello scudo fiscale, occorre che essi vengano denunciati alla nostra autorità tributaria. Il «rientro» è formale, avviene con l’informazione in questione, che li fa acquisire alla contabilità delle attività finanziarie dell’Italia sull’estero.

Il regime fiscale per i proventi di questi capitali esteri consiste in una trattenuta del 20% a titolo di imposta. Chi tiene i soldi su banche in Italia paga il 27% o il 12,5% secco a seconda che si tratti di depositi bancari o di altre attività finanziarie non qualificate. Paga l’imposta piena, sulla base della dichiarazione dei redditi personale o della società, se si tratta di partecipazioni qualificate. Insomma tenere i soldi in Svizzera può convenire comunque, anche se ciò viene dichiarato. Anzi così si ha una maggior disponibilità di tali cespiti. Dunque le banche della Svizzera non hanno alcunché da temere dallo scudo fiscale, quando si tratta di investimenti regolari, motivati dalla convenienza di usufruire dei servizi di tali istituti.

Ciò premesso, tuttavia, se la Svizzera riteneva che le visite sistematiche della Guardia di finanza alle sue filiali bancarie in Italia abbiano danneggiato gli istituti bancari a cui esse fanno capo, avrebbe avuto un modo legale per affrontare la questione e farvi chiarezza. Essa, infatti, poteva rivolgersi alle autorità comunitarie, per sollevare il caso. Ovviamente le autorità di Bruxelles avrebbero esaminato il caso, nel quadro complessivo, che riguarda le azioni concertate a livello europeo, per far cessare i regimi fiscali privilegiati, alias le evasioni a danno dei contribuenti che non evadono e debbono, per conseguenza, pagare di più di quel che sarebbe possibile. La diplomazia svizzera, comunque, ha denominato la sua protesta «sospensione della firma».

Lascia aperta la porta per la ripresa della trattativa. È nel reciproco interesse che l’orizzonte fra i due Paesi si rassereni, dati i legami economici e finanziari che ci sono fra loro, e in particolare fra Piemonte e Lombardia e Cantoni elvetici confinanti.

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