Telebiella e niente fu come prima

Nato nel 1971 il canale di Peppo Sacchi fu il primo a mettere in crisi la Rai e il governo: ecco come

Telebiella e niente fu come prima

La «questione televisiva» ha un ruolo di primo piano nella scena culturale e in quella politica. Con un’evidente impennata a partire dal 1994, anno in cui Silvio Berlusconi «scese in campo». La litania è nota: le televisioni commerciali, con la loro mediocrità fatta di consumismo e ossessione per il successo, hanno corrotto gli italiani e preparato il terreno all’ascesa del centrodestra. L’accusa non è nuova e nemmeno originale, visto che, con sfumature solo leggermente diverse, ha accompagnato l’intera storia delle emittenti private (se non proprio quella della televisione stessa). Una storia in realtà gloriosa, come ricorda il libro di Silvano Esposito: Telebiella e niente fu come prima. Storia della prima tv privata italiana (CDG, pagg. 172, euro 16).

Telebiella, creata dall’ex regista Rai Peppo Sacchi, nasce ufficialmente il 30 aprile del 1971. Fu registrata in tribunale con questo nome: Telebiella A21 Tv. E il particolare non è irrilevante. A21 sta per Articolo 21, ed è un richiamo al passo della Costituzione in cui si garantisce la libertà d’espressione, all’epoca conculcata dal monopolio statale sulle telecomunicazioni. Telebiella dunque, fin dall’inizio, era una consapevole alternativa alla Rai. Poco attratto dagli aspetti commerciali, Sacchi aveva una linea editoriale che valorizzava il localismo più autentico della provincia italiana. I programmi erano trasmessi via cavo per aggirare la legge che consegnava l’etere alla tv di Stato. Nel 1974, il cavo raggiungeva «gli otto chilometri e circa 500 edifici connessi, per un totale di 2500 potenziali utenti» a cui bisogna aggiungere i televisori pubblici collocati lungo le vie dello struscio e in alcuni negozi (il barbiere, a esempio).

Cosa potevano vedere gli affezionati telespettatori? Telebiella era indirizzata alla comunità, e la comunità, per la prima volta, prendeva la parola: operai, alunni, aspiranti artisti comparivano in programmi quali Videoscuola e Televisione Studio B. In Casella postale 99 e Filo diretto, il conduttore, lo stesso Sacchi, apriva il microfono agli interventi del pubblico. Elementi della tv moderna, sperimentati proprio a Telebiella. Ma c’erano anche il telegiornale e l’informazione in diretta con un occhio di riguardo alla difesa dei diritti dei cittadini. Nel corso degli anni, fra il 1971 e il 1976 collaborarono personaggi come Enzo Tortora, Bruno Lauzi, Cino Tortorella, Memo Remigi, Ugo Zatterin, Daniele Piombi, Anna Maria Rizzoli, Febo Conti, Mario Soldati. E il talento comico di Ezio Greggio fu tenuto a battesimo televisivo proprio da Sacchi.

Nel giugno 1973 l’emittente fu oscurata dal governo Andreotti. Sacchi fece ricorso alla Corte costituzionale, ottenendo una parziale ma importante vittoria. Fu l’inizio di una battaglia che portò, nel 1976, alla prima vera picconata del monopolio statale, anche se per una legge di sistema si dovrà attendere il 1990. In mezzo, c’è l’ascesa delle tv locali, e poi del network berlusconiano. Dopo, le polemiche che ben conosciamo e chi volesse documentarsi su questi anni può farlo recuperando La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 di Franco Debenedetti e Antonio Pilati, edito da Einaudi.

Perché questa avventura, con qualche precedente nel Sud e a Torino, prese piede a Biella fino a diventare un caso nazionale? Biella, secondo Esposito, aveva le caratteristiche giuste. Provincia ricca e lontana dal dominio torinese automobilistico, con un polo industriale alternativo (il tessile) di nicchia ma sviluppato. Imprenditori pronti a investire, almeno inizialmente. E una diffusa ideologia anti-monopolistica: il biellese era una storica roccaforte del Partito liberale «malagodiano».

Erano gli ingredienti necessari per accendere la miccia. La televisione privata e commerciale scoprirà di lì a poco un mondo con gusti e relativi consumi nuovi; e un diverso tipo di imprenditore, estraneo alle grandi famiglie del capitalismo italiano, capace di interpretarli e soddisfarli.

È il mondo della moda, del design, della pubblicità, del made in italy che darà vita, negli anni Ottanta, a un piccolo boom economico modernizzando il Paese, chiedendo libero accesso ai mezzi di comunicazione e scontrandosi con la dominante mentalità statalista. Quest’ultima, in campo televisivo, predicava il pluralismo all’interno del monopolio e non attraverso il mercato. Una ricetta che ha portato alla selvaggia lottizzazione politica dei canali Rai.

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