Liniziale apertura del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del pontificio consiglio per la Giustizia e la Pace, poi parzialmente rientrata, all'ora di religione islamica spalanca il vaso di pandora dell'insegnamento della religione in Italia. Il modo in cui la religione cattolica è oggi insegnato nelle scuole in forza del Concordato, presenta non poche anomalie. Infatti lo Stato assicura l'insegnamento e paga i docenti che però sono scelti dalla Chiesa, e gli studenti hanno solo la facoltà, non l'obbligo, della frequenza di una materia extracurriculare che è impartita ai margini dell'orario scolastico.
La richiesta dei gruppi islamici ha però messo in evidenza le contraddizioni del modello d'insegnamento italiano provocando diverse ed opposte reazioni. Alcuni strenui sostenitori dell'identità cristiana respingono con fermezza la richiesta islamica nel timore che attraverso essa possa aprirsi in Italia la strada al fondamentalismo e possa iniziare un dialogo ritenuto inopportuno, almeno fino a quando non c'è reciprocità di libertà religiosa nei Paesi musulmani dove vivono minoranze cristiane.
Non è inutile ricordare che quel che distingue la civiltà occidentale dai Paesi islamici (e ci rende civilmente superiori) è proprio lo Stato di diritto e la libertà religiosa che non possono essere sottoposti a negoziato. Inoltre se è vero che la questione della reciprocità è un importante caposaldo teorico, è altrettanto evidente che è difficile affrontarlo in concreto nel sistema internazionale. Con chi l'Italia dovrebbe intavolare una trattativa diplomatica per le minoranze cristiane? Con l'Arabia Saudita, il Sudan, l'Egitto, l'Iran, il Pakistan, gli Emirati Arabi? Una cosa è porre nelle sedi internazionali la questione dei diritti umani e delle libertà nei Paesi autoritari, e un'altra, ben diversamente anacronistica, è dire «io non ti consento di fare la tal cosa qui da me finché l'Islam (tutto l'Islam composto da una cinquantina di Paesi e da oltre un miliardo di persone) non assicura i diritti ai cristiani».
Ciò detto, a me pare che neppure la proposta islamica per l'ora della religione nelle scuole sia oggi auspicabile nel nostro Paese dove c'è, fino a prova contraria, lo Stato di diritto. Non per gli interrogativi che sono stati sollevati del tipo «Chi dovrebbero essere i docenti?» e «Quale Corano si dovrebbe insegnare?», ma perché l'insegnamento islamico nelle scuole pubbliche italiane sarebbe l'inizio della anomala moltiplicazione degli insegnamenti concordatar-confessionali disposti dallo Stato ed eseguiti dalle chiese.
L'intellettuale cattolico Vittorio Messori ha opportunamente osservato che se si infilano altre fedi nelle classi, come si fa a lasciare fuori insegnamenti come il buddismo, l'induismo, la dottrina di Sai Saba o i testimoni di Geova? Perché in termini di libertà religiosa i diritti delle minoranze di 5 o 10 persone equivalgono a quelli di 100 o 1000. La verità è che il modello concordatario dell'insegnamento confessionale pattuito tra lo Stato e la Chiesa poteva funzionare, non dico essere approvato, in presenza di uno Stato autoritario e di una religione monopolistica, ma non regge più nel pluralismo religioso in un regime democratico che garantisce libertà e diritti individuali.
Per risolvere la questione degli islamici in Italia, con le relative esigenze di istruzione e di religione, è dunque opportuno che si esca fuori dagli schemi concordatari e dalle prove di forza del tutto astratte sulla reciprocità. Una religione forte e tradizionale come la cattolica in Italia non dovrebbe più fare affidamento sulla fragilissima e anacronistica ora di religione garantita dallo Stato. Se liberiamo l'istruzione pubblica dal negoziato con le confessioni, sarà possibile restituire l'insegnamento della religione o delle religioni alle più autentiche dimensioni culturale e pedagogica.
Così lo Stato potrà dire ad alta voce agli islamici che, per quel che lo riguarda, il curriculum è uguale per tutti i cittadini italiani e per quanti vogliono frequentare le scuole pubbliche italiane, mentre rimane assolutamente libera e facilitata per tutte le fedi la possibilità di impartire gli insegnamenti religiosi nella maniera che ognuna ritiene più opportuna.
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