Terremoto da salotto

La condanna di Cesare Geronzi a venti mesi per il crac Italcase, potrà essere rivista in appello, con tutta probabilità non comporterà una sua sospensione dalle cariche in Capitalia, ma rischia di provocare un piccolo terremoto negli equilibri del nostro capitalismo. Essa infatti si inserisce in uno scontro a calor bianco tra le due «anime mercatiste» dell’attuale maggioranza. E che vede su fronti opposti diesse e prodiani. Tre sono le spie di allarme.
La prima riguarda il controllo delle Assicurazioni Generali (in Borsa sta facendo scintille). La seconda è l’attivismo della componente dalemiana (il convegno con i manager pubblici che oscillano, a Sesto San Giovanni, e la recente intervista sul Sole 24 Ore). La terza è la consueta evocazione della discesa in forze sul territorio italiano della finanza straniera.
La «madre di tutte le operazioni» è l’alleanza tra Giovanni Bazoli e Enrico Salza che ha portato alla creazione di Intesa-San Paolo. Un’ottima aggregazione dal punto di vista industriale, ma che ha fatto suonare un campanello d’allarme in casa diessina. Il campanello è diventato una sirena, quando nelle settimane scorse sono iniziate le scorrerie borsistiche sulle Generali, la perla del nostro sistema finanziario. Zalesky, un finanziere vicino a Bazoli, e mani ancora non del tutto scoperte hanno iniziato a comprare il titolo triestino. Mettendo in difficoltà l’azionista di riferimento, che resta Mediobanca (e dunque Geronzi e Profumo) con una quota del 14%. A ciò si aggiunga che con una mossa a sorpresa Bazoli e Salza hanno offerto la vicepresidenza della nuova superbanca ad Antoine Bernheim. Attuale numero uno delle Generali, alla ricerca della riconferma, e che guida in Italia quella pattuglia chiave di finanzieri francesi. Insomma il professore bresciano è fortemente candidato oggi a fare ciò che Geronzi fece nei confronti di Vincenzo Maranghi solo tre anni fa: grazie ai francesi capovolgere i fronti del nostro capitalismo e conquistare le Generali.
All’epoca i francesi aiutarono Geronzi a scalzare il numero uno di Piazzetta Cuccia. Oggi potrebbero consegnare le Generali a Bazoli e abbandonare Geronzi al suo destino. Fantafinanza? Per D’Alema certo no. Anzi si tratta di un incubo. In una recente intervista al Sole 24 Ore, ha sentito così il bisogno di proclamare l’«interesse politico» a mantenere «l’italianità» del Leone triestino. Svelando un progetto di cui nessuno era al corrente (uno scalatore straniero e ostile) oppure paventando un cambio di direzione strategica alle Generali grazie ad un colpetto di spalla di Bazoli e Bernheim?
La sortita del vicepresidente del Consiglio a difesa di un territorio finanziario non completamente «bazolizzato» non è d’altronde inedita. Solo poche settimane prima il segretario dei Ds, Piero Fassino, lanciava una dura accusa alle banche che avevano abbandonato il Sud America. Tra cui proprio la Intesa di Bazoli-Passera. Insomma un’uscita un po’ troppo tecnica, sopra le righe, per non essere qualcosa di più: un avvertimento sull’attenzione alle mosse fatte sullo scacchiere della finanza.
In questo scenario Cesare Geronzi indebolito (senza parlare dell’altro campione della industria dalemian-progressista che è Roberto Colaninno, anche egli duramente azzoppato dalla sentenza di Brescia) sbilancia l’intera partita. Il suo amministratore, Matteo Arpe, quando per il crac Parmalat Geronzi subì sorte più o meno analoga, ha dimostrato di sapersi difendere. Proprio ad un possibile attacco di Intesa (che in prima battuta voleva fare una fusione con la banca romana) rispose attaccando. Ma adesso il gioco non è più di difesa delle proprie mura domestiche. Si tratta delle Generali e di Mediobanca, che le controllano. L’autonomia di Arpe in questo campo è inferiore e forse non sufficiente. Da questo quadro manca volutamente un attore che ha molte risorse: l’Unicredit di Alessandro Profumo.
Ma è difficile capire cosa abbia in mente il manager di piazza Cordusio.

Tre anni fa comprò titoli Generali per «difendere l’italianità del gruppo», e contribuì così alla messa al bando di Maranghi. Oggi dice che «difendere l’italianità è un fattore bloccante» per lo sviluppo dell’economia. I giochi si faranno nonostante Profumo.

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