da Berlino
La stampa tedesca li chiama «i nostri ultimi prigionieri di guerra». Si trovano in Polonia e la loro storia è legata ai grandi nomi dellarte e del pensiero: Goethe, Beethoven, Bach, Kant, Leibnitz, Cranach. Un patrimonio inestimabile, composto da manoscritti, spartiti, quadri e sculture, nascosto dagli stessi tedeschi durante la guerra in territori oggi polacchi e che la Polonia non intende restituire nonostante le pressanti richieste di Berlino. «Proprietà dello Stato polacco», dice Varsavia. «Beni confiscati illegalmente che devono essere riportati in Germania», insiste il governo tedesco. Ed entrambi hanno buone carte per far valere le loro ragioni. Alla fine un accordo si troverà ma intanto la controversia sulle opere darte ha creato un nuovo fronte caldo tra i due paesi reso più incandescente dalla politica dei gemelli Kaczynski tesa ad esasperare i conflitti con gli ex nemici tedeschi.
Una storia rocambolesca quella del patrimonio conteso. Incomincia nel 44 quando il Terzo Reich, per salvare dai bombardamenti i tesori dei musei e delle biblioteche berlinesi, decise di trasportarne parte in zone più sicure. Ben 500 casse lasciarono Berlino per la Prussia orientale. Dentro cerano centinaia di quadri, tra cui tele di Cranach e di Dürer, la prima edizione della Bibbia di Lutero, 212mila manoscritti che comprendono pagine originali di Goethe e Novalis, 20mila spartiti di importanza incalcolabile come alcuni fogli della Nona con correzioni e sottolineature apportate da Beethoven e la prima partitura de «Il flauto magico» uscita dalle mani di Mozart. Il tutto fu nascosto in sacrestie e monasteri ed uscì indenne dalla guerra. Ma con una differenza: dopo il 45 la Prussia orientale fu assorbita dalla Polonia e così il tesoro passò ai polacchi.
Per tutta la durata della Guerra fredda i tedeschi lo considerarono un patrimonio perso poiché scarse erano le speranze di riavere i beni confiscati al di là della Cortina di ferro. Ma dopo la caduta dei regimi comunisti si riapre il capitolo delle restituzioni, Berlino e Varsavia avviano un negoziato che però si rivela subito sbilanciato. La Germania ha poco da offrire: già nellimmediato dopoguerra gli alleati avevano provveduto a restituire a Varsavia gran parte delle opere darte trafugate dai nazisti durante loccupazione.
La carta in mano ai tedeschi è una norma del diritto internazionale che vieta confisca ed espatrio dei beni culturali. In base a questa norma Berlino ha dovuto restituire i molti capolavori sottratti agli ebrei ma ha anche ottenuto il rimpatrio di molte opere darte trafugate dallArmata rossa nel 45. Per Varsavia però la norma invocata dai tedeschi non è applicabile poiché il tesoro delle cinquecento casse non fu né confiscato né trafugato: era semplicemente parte di un territorio passato alla Polonia con tutto ciò che cera sopra, case, chiese, castelli, musei, industrie...
Una disputa giuridica che però con lavvento della coalizione ultranazionalista dei Kaczynski si sposta dal terreno dei tecnicismi a quello più emotivo del contenzioso storico tra polacchi e tedeschi. Basti citare quanto scritto recentemente sul Frankfurter Allgemeine Zeitung da Marius Muszynski, il diplomatico polacco incaricato di negoziare con Berlino: «Il popolo polacco ricorda ancora le opere perse per sempre perché distrutte o bruciate dai tedeschi durante loccupazione della Polonia e avrebbe difficoltà a capire la consegna alla Germania di beni che sono di proprietà dello Stato polacco».
Forse dopo le elezioni anticipate di ottobre, da parte di Varsavia ci saranno toni più moderati. Ma per il momento tutto fa pensare che gli ultimi prigionieri di guerra rimarranno tali ancora per qualche tempo.
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