Tremonti, nostalgia Iri Ma l'industria italiana ha bisogno di questo?

Il ministro in campo contro le acquisizioni da parte dei gruppi francesi: "solo chi è grande sopravvive. Ora possiamo solo difenderci"

Tremonti, nostalgia Iri 
Ma l'industria italiana 
ha bisogno di questo?

nostro inviato a Cernobbio

«Oggi, avere a disposizione l’Iri non sarebbe poi così male. E servirebbe anche la grande Mediobanca: sono queste le strutture in grado di organizzare il sistema». È un Giulio Tremonti che più di sempre non teme di apparire fuori dal tempo, quello che ha parlato a lungo con i media, ieri, al termine del Workshop Ambrosetti di Cernobbio. Dopo il recupero del colbertismo protezionista, che già fece scalpore qualche anno fa, il ministro dell’Economia pare ora più statalista che mai, al punto da rimpiangere le partecipazioni statali.
Lo spunto viene dai casi Parmalat ed Edison, cioè dalle scalate dei gruppi francesi ad aziende italiane. E dal latte in particolare, visto che per contrastare il gruppo Lactalis, il Tesoro ha schierato la Cdp (Cassa Depositi e Prestiti): una struttura controllata dal Tesoro al 70% che, tramite la raccolta di oltre 200 miliardi di risparmio postale di 12 milioni di italiani garantito dallo Stato, dispone oggi di 4 miliardi di capitale libero, che con debito possono arrivare fino a 13 per potenziali investimenti azionari. Qualcuno, tra cui il plenipotenziario economico del Pd Enrico Letta, ha parlato di pericolosa deriva verso un nuovo Iri. Ma Tremonti ha spiazzato tutti: magari, ha detto, ci fosse l’Iri per Parmalat. Non solo: a domanda se Cdp possa intervenire anche nelle banche in cerca di nuovi capitali, Tremonti ha risposto: «Non lo so, vedremo». Formula tutt’altro che negativa.
Ma chi pensasse solo a una nostalgia statalista, sbaglierebbe di grosso. Tremonti è prima di tutto un pratico e ha parlato da politico deciso a stare al governo ancora a lungo. Con questo esecutivo fino al 2013; in subordine, anche in forme diverse. In ogni caso, in alleanza con la Lega di Umberto Bossi. E in questa chiave la Cdp altro non è che lo strumento con cui respingere lo straniero proprio nei settori (il latte degli agricoltori, l’energia, le banche) che stanno più a cuore ai territori del Nord. Anche se Tremonti è ora bene attento a non cucirsi addosso un’etichetta da nordista. Lo si è visto ieri nel suo intervento all’interno dei lavori del Workshop quando, in un inedito passaggio nazionalista, il ministro ha detto: «A volte mi capita di vedere la mia bandiera e ne sono anche fondamentalmente un pò orgoglioso».

Tra l’altro a Cernobbio, tra banchieri anglosassoni e raffinati economisti, Tremonti parlava di Iri e Mediobanca proprio al Gotha della finanza: «Mi rendo conto che dire questo a voi è come violare il tempio del Dio mercato», ha detto. Ma il suo ragionamento è poi filato via diritto: «La concorrenza è ormai tra blocchi di sistema, tra continenti. Prendiamo la Germania: ha la capacità di parlare da gigante con i giganti, come la Cina. Per noi è più difficile», a causa delle dimensioni di imprese e banche. Per questo ci vorrebbe ancora un sistema-Iri. E naturalmente non nei suoi aspetti più deteriori: «Se si tratta di evitare la vecchia Iri come era prima, benissimo. Se si tratta di pensare a quanto era importante e moralmente utile Paese» allora se ne sente la mancanza. E sui francesi Tremonti è stato pungente: «Presenteremo all’Unione europea un disegno di legge identico a quello dei francesi, anzi, lo presenteremo scritto in francese». Così che, ha aggiunto, «simul stabunt, simul cadent». Come a dire: se va bene il loro, allora anche il nostro. Viceversa dovranno decadere entrambi.

Prima della vivace e partecipata conferenza stampa, Tremonti aveva parlato ai 200 ospiti di Ambrosetti a porte chiuse, disegnando la sua visione di G20, Europa e Italia. Mettendo di nuovo l’accento sulle riforme fondamentali da condurre a termine: burocrazia, fisco e Sud. Ed è sul fisco in particolare che il ministro ha insistito: «Chiederemo la delega e faremo la riforma fiscale». Tremonti ha ricordato che l’attuale sistema fiscale italiano è vecchio di 60 anni e da allora nessuna vera riforma è stata fatta.

«Penso che il modello di sistema giusto debba avere tre caratteristiche: deve essere progressivo, perché lo prevede la Costituzione, poi deve essere competitivo (per affrontare la concorrenza nel nuovo mondo globale) e infine deve essere semplice: non è possibile che noi abbiamo 243 forme di esenzioni e deduzioni di tutti i tipi. Un labirinto da cui dobbiamo uscire».

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