LO TSUNAMI IN BUSTA PAGA

Rispetto agli anni 80 la forza lavoro mondiale è raddoppiata. Cina, India e gli ex Paesi socialisti si sono messi a produrre beni e servizi da cedere sul mercato. Una parte di questa produzione è stata assorbita localmente dai nuovi entranti, un’altra grande fetta è stata collocata nelle economie già sviluppate. In questo scenario non ci sono protezioni che tengano. Abbiamo fatto finta di non vedere questo tsunami. E oggi chiediamo che «i prezzi diminuiscano e che i salari crescano». Perfetto. Chi non sottoscriverebbe proposte simili.
Il punto è che l’Italia produce ricchezza a ritmo rallentato e non può dunque redistribuire ciò che non ha creato. La responsabilità non è attribuibile solo al governo in carica. Ma le soluzioni che il gabinetto Prodi rincorre sono pessime. Ci fa credere che il miglioramento dei redditi degli italiani passi per un grande (l’ennesimo) accordo con i sindacati. Il tutto per spartirsi una torta che non cresce.
L’alleggerimento fiscale ha un immediato beneficio nell’aumentare il reddito disponibile. Ma il suo effetto più «rivoluzionario» è quello di mettere nell’angolo il ruolo dello Stato nell’attività economica. Riducendo le imposte agli italiani (imprese incluse) lo Stato si ritira. Ma non basta. L’impresa e gli italiani sono soffocati dalle regole. Viviamo, a tutti i livelli, in uno Stato di «polizia burocratica», che frena il nostro sviluppo. Defiscalizzare e deregolamentare sono gli unici strumenti che la politica ha per farci davvero ripartire. Ma paradossalmente regole e fisco sono i due nutrimenti preferiti dalla nostra politica.


Come si può pensare di contrattare il nostro futuro con il sindacato? In Italia esso rappresenta solo gli insider: coloro che riescono a proteggere relativamente meglio il proprio potere di acquisto e che sono difesi da un reticolo di norme corporative. Avviare un processo per recuperare potere d’acquisto affidandosi alla tutela sindacale è come affidare un harem a un playboy.
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