Fino al gennaio 2011, un solo partito in Tunisia - quello del presidente - vinceva le elezioni, con il 90 per cento dei voti. Sabato è cominciata l’affollata campagna elettorale per il primo voto libero del Paese nel dopo Ben Ali. Sette milioni di elettori andranno alle urne il 23 ottobre per eleggere l’Assemblea costituente.
Ed è ressa elettorale. A contendersi 218 seggi ci sono oltre 10mila candidati, 1.600 liste. I partiti in gara sono 81. Nei giorni prima dell’inizio della campagna, le fotografie in arrivo dal Paese mostravano lunghe file di cartelloni con il disegno di una interminabile serie di caselle numerate, che ora ospitano i manifesti con le facce dei candidati e i simboli dei partiti. A Sidi Bouzid, cittadina rurale del centro della Tunisia, dove il suicidio del giovane Mohamed Bouazizi ha fatto partire la rivoluzione e il contagio arabo, gli elettori dovranno scegliere tra ben 64 liste. Per Naziha Rejiba, giornalista tunisina nota per la sua opposizione al regime del rais Zine el Abidine Ben Ali, questa «è la rivincita: i tunisini ci sono, non sono morti».
Un così alto numero di partiti rischia però di diluire il voto, di frammentarlo, di creare confusione tra un elettorato abituato a decenni di sterilità politica. In parte, secondo quanto raccontano i sondaggi, questo è quello che sta succedendo: il 45 per cento della popolazione non si è ancora iscritto alla liste dei votanti e più della metà degli elettori non sa ancora a chi dare la sua preferenza.
Nonostante oggi in Tunisia tutti parlino di politica, e non più di pallone, come ai tempi di Ben Ali, nonostante i molti talk show, le conferenze, i programmi radiofonici che hanno come obiettivo la formazione di una coscienza politica, l’esuberanza dei numeri rende l’indecisione maggiore. Per far fronte al problema sono perfino nati siti internet che aiutano il cittadino a ritrovarsi nell’affollata piazza elettorale: su tunivote.net o ikhtiartounes.org, l’utente potrà sapere in pochi minuti quali sono i partiti più vicini alla sua sensibilità. Se per alcuni l’alto numero di liste e partiti rischia di frammentare il voto, a danno della governabilità, Naziha Rejiba spiega che secondo lei la confusione «è destinata a sparire: ci penseranno le elezioni a fare pulizia.
Dopo il voto il paesaggio politico sarà rimodellato, le linee saranno più distinte e resteranno pochi partiti». E già nei primi giorni della campagna, i sondaggi hanno fatto capire quali saranno i volti e i simboli che emergeranno dalle urne. Gli islamisti del partito fuorilegge ai tempi di Ben Ali, Ennahda, potrebbero prendere più del 20 per cento delle preferenze. Dietro di loro, un altro volto dell’opposizione storica, quello di Nejib Chebbi, capo del Partito democratico progressista, gruppo centrista. Tra gli altri movimenti che sembrano avere una buona base elettorale, il partito social democratico Ettakol. Emerge anche la figura di Moncef Marzouk, uno degli oppositori a Ben Ali più noti all’estero, da dove operava in esilio, oggi a capo del Congresso per la Repubblica.
La rissa elettorale tunisina, figlia della prima rivoluzione araba, si ripropone anche al Cairo. La stagione elettorale egiziana, che durerà nove settimane, si apre a fine novembre. Nel Paese, già dai primi giorni dopo la caduta di Mubarak, a febbraio, una nuova legge sulla formazione dei partiti ha dato il via all’euforia politica, con la nascita di decine e decine di gruppi.
«Il problema - ha spiegato un membro del neonato Partito social democratico egiziano - è che i nuovi movimenti politici come il nostro sono ancora troppo deboli per competere con gruppi organizzati e radicati sul terreno da decenni come i Fratelli musulmani», il più grande gruppo islamista egiziano, storica opposizione al regime.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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