Usa, pensionati e veterani in rivolta

In caso di default, a rischio gli assegni mensili. Pressioni sul Senato: trovate l’intesa

Usa, pensionati e veterani in rivolta

New York Alla fine è probabile che democratici e repubblicani troveranno un accordo sul debito, forse nell’ultimo giorno utile - martedì 2 agosto - prima del default storico e imbarazzante per il presidente Obama, sempre più leader azzoppato e appannato. Washington non è poi così distante da Roma. Nel senso che non c’è un oceano a dividere la politica dei due Paesi. Anche negli Stati Uniti va in scena un copione fatto di ripicche, imboscate, tradimenti clamorosi e infine accordi sottobanco all’ultimo minuto. Ma la partita resta aperta. E carica di tensione.

Un downgrade «non è una buona cosa», un default «è una cosa catastrofica», ha ribadito ieri il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney. Lo spauracchio della bancarotta ha fatto breccia sugli americani. Specie sui pensionati. Che in milioni si sono cimentati in un’impresa disperata e hanno preso alla lettera l’idea-minaccia del presidente nel suo discorso alla nazione di lunedì sera: «Cari pensionati e veterani, telefonate ai vostri senatori e congressmen e fate sentire la vostra voce; se ci sarà il default, non arriverà più puntuale l’assegno della vostra pensione». Missione compiuta. Quando ci sono di mezzo i soldi del «Social Security» (la pensione americana), non c’è più distinzione tra democratici o repubblicani; il partito che prevale è quello del «verdone», del dollaro. E Obama, al momento, ha centrato una piccola vittoria, forse di Pirro, comunque morale. I pensionati hanno preso alla lettera le minacciose parole del presidente e hanno mandato in tilt i centralini di Senato e del Congresso.

Oltre quarantamila telefonate ogni ora, il doppio del traffico normale, in questi ultimi due giorni. Il partito trasversale dei pensionati ha colpito Capitol Hills con ben 350mila telefonate, soltanto nella giornata di martedì. I «retireer», come vengono chiamati i pensionati, e i veterani di guerra (sono 5,5 milioni a prendere una pensione qualsiasi), si sono superati e ieri il traffico delle telefonate verso Washington ha toccato quota 50mila ogni ora, oltre mezzo milione in tutta la giornata.

I pensionati non soltanto telefonano, ma hanno preso a bombardare con milioni di e-mail e addirittura centinaia di migliaia di lettere i loro senatori e deputati. Un esempio: il senatore democratico Tom Harkin, uno dei più vicini a Obama, ha ricevuto ieri quasi 700 lettere e migliaia di email. «Sono cittadini che esprimono la loro rabbia per come stanno andando i negoziati e chiedono che si raggiunga un compromesso», ha spiegato alla Cnn.

L’altro democratico Dick Durbin, numero 2 del Senato, ritiene che è ancora possibile rompere la situazione di stallo e spera che i repubblicani all’ultimo minuto abbandonino la linea di intransigenza: «Questo tipo di approccio politico e ideologico semplicemente non funziona quando in gioco c’è l’economia, il pagamento delle pensioni, il pagamento delle rate per i lavori pubblici in corso, per i rimborsi medici e sanitari a ospedali e a centri di ricerca. I repubblicani devono abbandonare la linea di pensiero...o si fa a modo nostro o niente», ha spiegato alla Nbc.

Ma intanto arriva una notizia che rischia di allungare l’agonia. Secondo stime di numerose banche di investimento, il Tesoro avrebbe nei forzieri una somma superiore alle previsioni grazie al buon andamento delle entrate fiscali.

Se queste nuove stime fossero esatte, gli Stati Uniti avrebbero tempo fino al 10 agosto per un’intesa. Ma la paura resta. Gli ultimi sondaggi, della Cnn e dell’Abc, dicono che il 59% degli americani sono con Obama, non vogliono il default, perché senza pensioni, pagamenti e rimborsi non si può vivere.

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