Vanacore, un suicidio sempre più imperfetto: non tentò d’avvelenarsi

TarantoNello stomaco il veleno non c’è. Nessuna traccia di diserbante o di qualche farmaco ansiolitico o di narcotizzante, insomma nulla che possa essere stato ingerito e utilizzato per stordirsi prima di lasciarsi andare in mare e morire in nemmeno un metro d’acqua, con una corda fissata alla caviglia e legata a un albero. Almeno queste sono le prime indiscrezioni sugli esami tossicologici che adesso alimentano nuovi interrogativi sulla tragica fine di Pietro Vanacore, trovato morto il 9 marzo scorso nelle acque che bagnano il litorale di Torre Ovo, frazione di Torricella, piccolo centro a ridosso di Maruggio, poco più di tremila abitanti, una quarantina di chilometri da Taranto. Qui, in questo labirinto di ulivi affacciato sullo Ionio, si era ritirato l’ex portiere del palazzo di via Poma, a Roma, dove il 7 agosto del ’90 fu uccisa Simonetta Cesaroni: lui, pugliese di Sava, sperava di mettersi alle spalle i fantasmi di quella tragedia che lo inseguivano da vent’anni, ma due giorni prima di tornare in un’aula giudiziaria come testimone nel processo sull’omicidio della ragazza avrebbe deciso di farla finita annegandosi dopo essersi legato una caviglia con una corda fissata a un pino vicino alla riva.
Adesso però, su quel suicidio che il medico legale Michele Sarcinella già due mesi fa in un’intervista al Giornale non aveva esitato a definire «anomalo» e segnato da tanti lati oscuri, incombono nuovi interrogativi. C’era infatti grande attesa per l’esito degli esami tossicologici, che avrebbero dovuto sgombrare il campo dai dubbi sulla dinamica, ma secondo indiscrezioni il responso non sarebbe servito a fare chiarezza; al contrario, rimarrebbe ancora da spiegare come Vanacore sia riuscito ad annegarsi in un punto in cui il fondale non supera i novanta centimetri di profondità.
In un primo momento era stata avanzata l’ipotesi che l’ex portiere di via Poma avesse ingerito del veleno, forse un anticrittogamico. Nel corso dell’autopsia non erano state rilevate tracce, ma gli inquirenti ritenevano possibile che l’acqua avesse eliminato i residui; e invece le analisi successive hanno riproposto gli stessi interrogativi perché sarebbe stato accertato che quella mattina, poche ore prima di morire, Vanacore aveva solo bevuto una tazza di caffè e mangiato una zeppola: la colazione consumata in un bar del paese dove alcuni testimoni lo trovarono «sereno, come al solito».
Sulla tragica fine dell’ex portiere, all’inizio sospettato di aver ucciso la Cesaroni e poi scagionato, è in corso un’inchiesta della Procura di Taranto, che ipotizza il reato di istigazione al suicidio a carico di ignoti. Il magistrato inquirente, Maurizio Carbone, invita alla cautela. E smentisce le indiscrezioni sui risultati degli esami: «Non solo la perizia medico legale non è stata depositata né mi è stata consegnata, ma so per certo che non è stata ancora completata», dichiara precisando anche che la bottiglia di plastica trovata nella macchina di Vanacore, parcheggiata poco distante dalla riva, conteneva «liquido per radiatore di auto» e non diserbante.
La relazione definitiva sugli esami sarà consegnata al Pm solo tra una decina di giorni. Per il momento l’unica cosa certa è che l’ex portiere di via Poma è morto per annegamento, ma le ultime indiscrezioni hanno comunque destato grande clamore.

E l’avvocato Lucio Molinaro - costituito parte civile per la madre di Simonetta Cesaroni nel processo contro l’ex fidanzato della vittima, Raniero Busco – dichiara che «rimane l’ipotesi unica che Vanacore si sia suicidato in seguito alla consapevolezza che doveva venire in aula a esporsi nel processo che stiamo celebrando».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica