Via al vertice Ue, accordo quasi impossibile

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Bruxelles

Barroso spera, Juncker dispera. Blair e Schröder continuano il loro violento braccio di ferro. Mentre Schröder ammonisce dal seppellire «un’idea grandiosa» per egoismi nazionalistici e Berlusconi deve confessare a questo punto di essere una volta tanto «pessimista». Vigilia triste e agitata, quella del summit dei capi di Stato e di governo che si riuniscono oggi nella capitale belga per un appuntamento mai così di rilievo.
Di crisi e crisette la Ue ne ha attraversate tante. Bene o male, le ha superate abbastanza rapidamente. Stavolta è tutto diverso: in ballo c’è il futuro della Costituzione Ue, azzoppata da Francia e Olanda e ancora a rischio di morte prematura e, ancora, c’è il bilancio comunitario 2007-2013 per il quale si sta litigando ben al di sopra delle righe. Ma c’è anche e soprattutto da rispondere a due domande fondamentali per il futuro della comunità: cosa dev’essere l’Unione a 25 e chi potrà guidarla ora che la consunzione sta erodendo l’alleanza carolingia - l’asse franco-tedesco - che per anni l’aveva indirizzata?
Un summit, l’ultimo a guida lussemburghese, organizzato per solo 12 ore (6 stasera, altrettante domani) non pare in grado di poter fornire risposte di tal livello. Né le prospettive future paiono benauguranti: dopo Juncker la presidenza semestrale passa dal 1° luglio a Blair, che non metterà certo sul piatto quanto ha rifiutato in questi mesi di discutere. Dal prossimo anno tocca agli austriaci, “alfieri” dello stop agli eurosprechi. Così, il meglio che ci si può attendere, a meno di clamorose sorprese, è una moratoria.
Già traspare abbondantemente in materia di Costituzione. Barroso, che fin qui aveva cavalcato la linea del proseguimento delle ratifiche, ieri ha ammesso che forse «una pausa di riflessione per approfondire le posizioni» può servire. Dalla Commissione trapela anzi la voce di un summit straordinario in ottobre, posponendo le ratifiche in programma fino ad allora, per decidere il da farsi. Si è parlato già di un rinvio della data del 2006 (termine entro cui tutti e 25 dovevano sottoporre la Costituzione a ratifica). Possibile che si decida in tal senso, anche perché si vuole evitare che Blair, davanti a una richiesta di osservanza del patto siglato a Roma, possa chiedere formalmente a Chirac e a Balkenende se i loro Paesi hanno bocciato o no quel trattato.
Più spinoso, anzi davvero al veleno, il discorso sul budget. Barroso, che inizialmente contava su un aumento del contributo dei Paesi dall’1,14 all’1,24% del rispettivo Pil, a questo punto è pronto anche ad accettare un compromesso al ribasso come quello ipotizzato da Juncker (1,056%), purché si faccia. «Meglio un accordo imperfetto che nessun accordo», ammette. Ma lo si può capire. È alla sua Commissione che devono andare i fondi.
Juncker, che nelle ultime due settimane ha condotto le trattative, si dice invece «quasi sicuro che non si troverà l’accordo». Il problema è che Chirac non intende rinunciare ai contributi agricoli strappati nel 2002 e che concedono parecchio ai suoi contadini, mentre Blair, per mettere in discussione lo “sconto inglese” nei contributi ottenuto a suo tempo dalla Thatcher ha detto chiaro e tondo che pretende la revisione della politica agricola comunitaria (Pac). Né i problemi finiscono qui: sempre Juncker ha detto ieri che l’Olanda protesta perché paga molto e riceve poco, e ha ammesso come con l’Italia, sia pur essendo migliorata la situazione, il dialogo resta complesso.
Berlusconi e Fini non intendono rinunciare ai 9 miliardi di euro l’anno fin qui riconosciuti alla politica di coesione (contributi alle regioni più arretrate e dunque, da noi, al Mezzogiorno). «Sono pessimista. Troppe le distanze dal punto d’arrivo di oggi e quello che ognuno vorrebbe ricevere…» ha commentato il nostro premier. Anche Fini non pare ottimista: «I margini sono obiettivamente troppo ristretti, anche se faremo il possibile per un’intesa che eviti una ulteriore disaffezione nei confronti della Ue». Ma arrivare alla quadratura del cerchio è davvero complesso: «Bisognerebbe scontentare tutti, evitare che ci siano vincitori e vinti, cedendo tutti su qualcosa». Ma Londra e Parigi da questo orecchio non ci sentono.

E da Berlino Schröder comunica: «I margini di manovra della Germania sono ormai molto limitati».
La ricerca si riduce così a quella di un minimo comun denominatore. Il dopo? Chissà. La locomotiva franco-tedesca è sul binario della pensione. E di nuove motrici, per ora, non se ne vedono.

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