Sigaro cubano, baffetto grigio ed occhialoni stile anni Settanta, Tarek Aziz è sempre stato «il volto umano» del sanguinario regime di Saddam Hussein. Cè chi giura che ai tempi giovanili del Rais, deposto e giustiziato, non disdegnasse premere il grilletto contro nemici e traditori, veri o presunti. Il nuovo Irak lo ha assolto, ma di sicuro Aziz non ha mai mosso un dito, né alzato la voce, per fermare i crimini del regime. Dai curdi gasati al nord, agli sciiti sterminati a sud dopo la prima guerra del Golfo. Lex ministro degli Esteri e vicepremier iracheno ha imparato, a fianco di Saddam, larte della sopravvivenza. Scampato a tutte le purghe del Rais si faceva riprendere in divisa verde oliva accanto a grandi fotografie del capo. Poco prima della caduta di Bagdad aveva giurato che non si sarebbe mai fatto prendere vivo dagli americani: «Preferisco morire». Dopo il crollo del regime è stato fra i primi a consegnarsi. Dimenticata luniforme da fedelissimo fece la sua prima apparizione in unaula di tribunale del post Saddam, in pigiama, per impietosire ed evitare la forca.
Tarek Aziz è nato nel 1936 in un villaggio vicino a Mosul, da una famiglia cristiana caldea. Il suo vero nome è Mikhail Yuhanna, dai santi Michele e Giovanni. Ben presto lo cambia per inseguire il panarabismo socialisteggiante di Saddam. Del defunto Rais è uno dei primi «compagni» nel partito Baath clandestino. Alluniversità di Bagdad studia inglese e arte diventando giornalista. Nel 1963 è direttore del Al-Jamaheer, il giornale del partito. La sua carriera è fulminea e tutta allombra di Saddam. Prima è ministro dellInformazione, poi diventa vice-premier e ministro degli Esteri del regime. Nonostante sia lunico cristiano della combriccola del Rais irakeno non ha mai difeso la minoranza caldea. Davanti alla nazionalizzazione delle scuole cristiane «non ha mosso ciglio», raccontava monsignor Jean Benjamin Suleiman, arcivescovo di Bagdad per i cattolici latini. Stesso atteggiamento di fronte al provvedimento per linsegnamento obbligatorio del Corano.
Nel 1980 scampa miracolosamente ad un attentato degli oppositori sciiti organizzati dellIran, che oggi sono al potere. E il tentativo di assassinarlo è uno dei pretesti che Saddam utilizza per attaccare la neonata Repubblica degli ayatollah. La guerra durerà 10 anni, provocando un milione di morti. Con linvasione del Kuwait del 1991, Aziz si trasforma in un giramondo diplomatico cercando di spiegare che Bagdad ha tutto il diritto di inglobare la sua «diciannovesima provincia». Durante la lunga agonia delle sanzioni è sempre lui a dispensare favori in mezzo mondo con la truffa del petrolio in cambio di cibo, sotto gli occhi dellOnu. Nel febbraio 2003, pochi giorni prima dellinizio della fine, riesce a farsi ricevere da Giovanni Paolo II in Vaticano. Alla vigilia dellinvasione alleata dellIrak annuncia: «Vi aspettate che con la mia storia, quello di uno dei leader del paese, vada a finire a Guantanamo o in una prigione irachena? Preferirei morire». Gli americani gli affibbiano l8 di picche, al 25º posto, poi declassato al 43º, del mazzo di carte con tutti i super ricercati del regime di Saddam. Il 24 aprile del 2003 si consegna senza sparare un colpo e va a finire a Camp Cropper, la base Usa alla periferia di Bagdad. Abile navigatore dei media cerca di impietosire lopinione pubblica internazionale facendo trapelare lettere strappalacrime. I carcerieri gli concedono visite, telefonate e curano i suoi disturbi di cuore. Alla prima udienza come testimone dei crimini dei guerra del regime si presenta emaciato, in pigiama e fa quasi pietà. Emanuel III Delly, capo della comunità caldea, comincia a chiedere clemenza per il cristiano che ha sempre rinnegato la sua fede.
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