Zac mette l’elmetto «C’è un clima di sospetti intorno alla mia Juve»

DIFESA Risposta piccata alle polemiche viola: «Sul gol fiorentino Gilardino in fuorigioco»

Torino Mai sottovalutare i romagnoli. Specie se di mestiere fanno gli allenatori di calcio senza vantare un grande passato da calciatori. Così Alberto Zaccheroni da qualche settimana arrivato sulla panchina della Juventus, trascinata fuori dal pantano e pronta ora a rincorrere il quarto posto. Reduce dal successo di Firenze, scandito da qualche lamento fiorentino, ha impugnato il microfono di Sky e difeso la sua nuova patria con grande determinazione. «Questa idea della Juve aiutata è una costante del campionato italiano, faceva parte del passato e fa parte anche del presente» la sua prima stoccata all’ambiente. Seguita da altre, obiettivo mai dichiarato Josè Mourinho. «Questa idea è stata portata avanti soprattutto da alcuni che non erano presenti neppure alla partita, è difficile capire il perchè, visto che non siamo concorrenti in questo momento per lo stesso obiettivo e ha creato un clima di sospetti attorno alla nostra gara e quindi un clima molto difficile da gestire per l’arbitro. In questo contesto è chiaro che ogni qual volta c’è un episodio sospetto si va sul certo, sul certo contro la Juve» l’intemerata destinata alla sagoma del tecnico interista. Fu lui, Josè, ricordate?, a parlare dell’area di rigore della Juve di 25 metri dopo il rigore fischiato su Del Piero... Inevitabile anche il riferimento al contenzioso con la Fiorentina. «Sul gol di Marchionni c’era Gilardino in fuorigioco, la collisione Chiellini-Keirrison è avvenuta fuori area, noi non ci lamentiamo ma credo sia giusto soffermarsi anche sui nostri episodi» la risposta appuntita destinata a Prandelli.
Mai stupirsi di Zaccheroni. Il giorno del suo insediamento a Torino, sponda Juventus, Alberto Zaccheroni si piazzò davanti a taccuini e microfoni con un'aria un po' spaesata. Alla sua sinistra il presidente Blanc, alla destra il vicedirettore generale Bettega. «Ho chiesto alla società di avere totale autonomia nelle scelte - buttò lì l'allenatore romagnolo -. Ovunque sia stato, ho sempre deciso soltanto io. Nessuno deve sindacare sul mio operato». Parevano le solite frasi fatte e invece... Invece ha cominciato a lavorare facendo (appunto) di testa sua. E, compatibilmente con quanto gli permetteva la solita infermeria affollata, a gestire giocatori e operare scelte che il suo predecessore Ferrara non aveva saputo fare. Così, al certosino lavoro sul campo e a modifiche tattiche cui il buon Ciro non aveva mai pensato (la difesa a tre, per esempio, proposta e poi accantonata quando Caceres si è dovuto fermare ai box), si sono seguite decisioni potenzialmente impopolari. Diego, per esempio, è stato sostituito per cinque volte di fila e non sempre l'ha presa bene: «Io penso al gruppo» ha tagliato corto Zac. Risultato: un gran bel gol a Firenze e, stavolta, novanta minuti filati sul terreno di gioco. In compenso, al Franchi è rimasto seduto Del Piero, forse non al meglio della condizione fisica ma alla fine in panchina per scelta tecnica: «Siamo di fronte a un tour de force e per lui, come per Cannavaro, vale a maggior ragione il discorso fatto per Diego - ha detto ieri il tecnico a Sky Sport -. Io non faccio favori a nessuno: va in campo chi mi garantisce la maggior sostanza possibile. Da quando ci sono io, comunque, Del Piero ha sempre dimostrato di essere un grande professionista e una persona speciale».
Nel frattempo, la Juve sta imparando a prendere atto che anche senza il capitano le ciambelle possono riuscire con il buco: senza di lui, per esempio, le partite vinte sono state finora 11 (contro le 6 di quando è sceso in campo) e i gol segnati sono stati 33 (contro 19). Dopo di che, Zaccheroni ricorrerà certamente ancora al suo totem, semplicemente perché la Juve non può permettersi di lasciarlo fuori.

E, anche se Zac dice che «sui particolari non si può lavorare visto che manca il tempo», tante piccole cose sono cambiate: De Ceglie ha per esempio spodestato Grosso, Zebina è tornato un giocatore, Candreva si è scoperto giocatore importante in grado appunto di parlare la stessa lingua di Diego e di far finire in panchina il numero dieci, persino Felipe Melo combina meno disastri di quanti non ne facesse nell'era Ferrara.

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