Ci spiace. Ci spiace davvero molto, e lo diciamo con profonda amarezza. Ma una donna non potrà mai essere una capa. È così. Semmai se proprio insiste potremmo concederle di essere un capo. Al maschile. E a questo punto se desidera può farsi chiamare anche capitano (come Salvini!) o generale (come Vannacci!) o presidente (come la Meloni!), o persino leader, condottiero, comandante. O Duce!
Insomma, quello che vuole. Ma non capa. Il primo motivo è perché «capa» è una parola orrenda; il secondo è perché lo dice l'Accademia della Crusca.
Il sostantivo femminile «capa» non va usato e lo spiega una donna, Raffaella Setti, storica della lingua italiana dell'Università di Firenze perché «pur circolando ampiamente nella comunicazione informale non ha ancora perso, per la maggior parte dei parlanti, la connotazione scherzosa e colloquiale». Cioè sta dicendo che una donna «capa» fa ridere.
L'indicazione è chiara. Evitare di scrivere «la mia capa», «capa di gabinetto» o, peggio che peggio, «Capa di Stato»... Meglio usare un sano, tradizionale, patriarcale sostantivo maschile. «Capo» va benissimo.
Alla notizia Laura Boldrini ha dichiarato di voler lasciare se non l'Italia, almeno l'italiano.
Lilli Gruber, per ripicca, da stasera cambia il nome del suo programma in Otto e mezza. E la famosa sociolinguisto da festival Vera Gheno ha detto che la Crusca non ha alcuna autorevolezza e deve essere rifondata da capo a fondo. Poi si è corretta: «Da capa a fondo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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