La finta perfezione di un campo minato

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La finta perfezione di un campo minato
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Questa rubrica ci dimostra come l’amore sia un vero campo minato. Dall’alto della mia veneranda età – se  Iddio acconsentirà tra 6 mesi spegnerò 70 candeline – rifletto sul concetto effimero di questo sentimento e mi torna alla mente l’arte giapponese del “kintsugi”. Quando un oggetto di ceramica di un certo valore si screpola o si rompe invece di cercare di nascondere le “imperfezioni” (...e tanto meno gettare via il manufatto), l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata per creare un contrasto. Il difetto addirittura viene evidenziato come espressione della lunga storia di quell’oggetto che perdura nel tempo, segno della sua bellezza imperfetta. Per me tutto questo è straordinario! La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e dalla fredda perfezione come corollario, il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro: del piatto sbeccato, del pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare. E questa finta perfezione la applichiamo alle relazioni: qualcosa non va? Rien ne va plus! Altro giro, altra corsa. Anziché cercare di assemblare i cocci con qualcosa simile alla lacca dorata del kintsugi troviamo un’altra compagna… finché dura. E se non va, altro giro, altra corsa. Le relazioni dei nostri nonni duravano anche 60 anni… le coppie che si sposano oggi hanno come traguardo i primi 10 anni…

Distinti saluti, PIER PAOLO

Caro Pier Paolo ho ben presente quell’affascinante, preziosa arte del kintsugi. Mentre la leggo, vedo le crepe diventare cicatrici d’oro. Immagino oggetti guasti che riprendono vita e dignità. Ma questo è il punto: abbiamo smesso di riparare i cappotti e le relazioni perché abbiamo tralasciato di dare il giusto valore alle cose o abbiamo smesso di circondarci, scegliere e acquistare cose di valore? Ci siamo talmente abituati a un mondo usa e getta, all’accumulo per quantità da abbandonare la qualità in tutte le sue forme. Si fatica persino a trovarle le persone che aggiustano le cose. Non si sa più a chi rivolgersi per riparare una lampada, per togliere la scheggiatura da una cornice, per rammendare un maglione o cambiare i bottoni o la fodera di un soprabito.

Gettiamo via la pelliccia della mamma e compriamo tre ispidi impostori che non hanno né storia, né stile ma solo l’invincibile fascino del nuovo, pronto e low cost. Abbiamo abbandonato l’idea che «ne valga la pena», ha ragione lei. E ai rapporti non concediamo più dignità che a un paio di sneaker.

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