Una sentenza che farà sicuramente discutere quella emessa dalla Corte di Cassazione e che costituirà un precedente rilevante per quei lavoratori trovati a svolgere un'altra attività, seppur ricreativa, durante il periodo in cui sono in malattia. Gli ermellini hanno dato ragione a un dipendente dell'azienda di trasporti del Lazio Cotral, licenziato nel 2020 perché cantava e faceva serate di piano bar mentre era ufficialmente malato. Per i titolari della Cotral il lavoratore aveva commesso una leggerezza imperdonabile creando un danno all'azienda e per questo andava allontanato.
La battaglia legale
Dal quel momento, come riporta il quotidiano romano Il Messaggero, è cominciata la battaglia legale. Il dipendente, ritendendo di non aver commesso alcun atto irregolare, si è appellato al licenziamento in tribunale e i giudici, in primo e secondo grado, hanno ritenuto che le sue giustificazioni fossero valide. Adesso la Cassazione ha messo la parola fine su una vicenda giudiziaria durata ben quattro anni. Il lavoratore potrà riavere il suo posto in azienda.
Era in malattia ma cantava e suonava nei locali
La Suprema Corte, nella sentenza, ha evidenziato che "il dipendente, nel rispetto delle fasce orarie della visita fiscale, coperto da certificato medico, può svolgere altre attività, anche ricreative". Tutto era cominciato nell'aprile del 2019 quando la Cotral aveva richiamato ufficialmente il lavoratore perché quest'ultimo, in malattia con regolare certificato, "aveva svolto attività del tutto incompatibili con tale stato, non aveva rispettato le fasce di reperibilità per le visite fiscali e si era, altresì, dedicato ad altra attività lavorativa, come cantante e musicista di piano bar". Precedentemente, lo stesso dipendente aveva ricevuto un ammonimento per aver svolto sempre altre attività negli orari concessi come permessi previsti dalla legge 104/1992, ovvero per prestare assistenza al padre anziano.
Un licenziamento contestato
A quel punto è scattato il licenziamento, ma nel corso del processo, avviato dopo la denuncia del lavoratore, i giudici hanno sempre dato ragione al dipendente condannando anche la società a versargli un risarcimento danni di 2.127 euro.
La Corte d'Appello di Roma, nella sentenza, ha sottolineato:"Avendo riguardo alla patologia da cui era affetto il lavoratore (ansia), l'impegno in attività ricreative non configurava in sé un comportamento incompatibile con la dichiarata condizione depressiva, anzi poteva giovare alla guarigione". Ragionamento che ha trovato d'accordo i giudici della Corte di Cassazione.
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