"Piantatela, basta". La suora indagata si scaglia contro i giornalisti fuori dal tribunale di Brescia

La religiosa, Anna Donelli, è accusata di essere la postina dei presunti boss del clan dei Tripodi, che l'avrebbero usata per garantire un collegamento con i detenuti

"Piantatela, basta". La suora indagata si scaglia contro i giornalisti fuori dal tribunale di Brescia
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«Ma cosa pensate di fare?». Fuori dal palazzo di giustizia di Brescia c’è la solita ressa di giornalisti ad attendere suor Anna Donelli, la religiosa arrestata dalla Procura con l’accusa di essere la postina dei presunti boss di ’ndrangheta, «a disposizione del sodalizio criminale» gestito dal clan dei Tripodi che l’avrebbe utilizzata «per garantire il collegamento con i detenuti». Coperta da un cappuccio e visibilmente scossa per i giorni passati ai domiciliari con l’accusa pesantissima di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, respinto totalmente nell’interrogatorio davanti al gip durato quasi tre ore, la suora non ha rilasciato altre dichiarazioni, se non il rimprovero a un cronista di LaPresse dopo aver colpito con una mano la sua telecamera, facendola cadere a terra. «Ma piantatela, basta».

Per lei ha parlato l’avvocato Robert Ranieli, che ha chiesto la revoca degli arresti domiciliari: «Lei ha radicalmente negato tutto. Assolutamente dice, sia per il ruolo che ho come suora, sia per quello che sono, perché lei è un po’ l’angelo degli ultimi», ha ribadito ai cronisti. Quanto all’inchiesta sulle presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nel Bresciano e alle prove che dimostrerebbero il suo ruolo di «postina» di pizzini, imbasciate e ordini dentro e fuori le mura carcerarie dove svolge il servizio di volontaria, lo stesso Ranieli ha ribadito l’inconsistenza delle accuse, peraltro dimostrate solo dalle dichiarazioni degli altri indagati, vedi la frase riportata dal gip «suor Anna è una di noi».

«Quelle intercettazioni sono fatte da altri, dette da altri, ma lei non c’è. Lei è stata in quella che è ritenuta la base dei Tripodi accusati di mafia, che era un’officina, ma perché semplicemente in un certo periodo ha vissuto a Brescia perché era in una comunità qui, quindi lavorava anche nel carcere di Brescia e conosceva uno dei due perché lo aveva aiutato come volontaria quando era stato detenuto per breve tempo a San Vittore e quindi l’ha ritrovato lì». Ma come si spiegano certe frasi e una sorta di confidenza con i pregiudicati calabresi, legati secondo la Procura al clan Alvaro di Sinopoli, in provincia di Reggio Calabria? «Anna “una dei nostri”? Quella dei Tripodi era una millanteria, una semplice millanteria». Quando alle parole attribuite alla suora su dei fantomatici «amici» che avrebbero potuto aiutare una nipotina dopo un incidente stradale, il difensore della religiosa ha poi spiegato che cosa intendesse esattamente: «Non era una questione di amici potenti, la sua versione è un’altra, assolutamente vera e credibile. Lei voleva solamente che venisse fatto un chiarimento su una contravvenzione che aveva avuto una nipote - ribadisce il legale - quelle persone che erano lì erano di un’officina e quindi potevano verificare se la regolarità della macchina che aveva fatto l’incidente con la nipote c’era o no».

Certo servirebbe qualcosa di più per dimostrare una possibile contiguità con gli altri indagati, non sono dichiarazioni de relato e frasi ambigue. «Suo Anna ha radicalmente negato tutto, lei è l’angelo degli ultimi».

Sulla carcerazione preventiva il Riesame deciderà la prossima settimana, se dovesse essere alleggerita la posizione della suora - spiattellata e infangata da tutta la stampa nostrana - per la tenuta dell’inchiesta sarebbe un brutto scossone.

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