Caracciolo su Iran e Israele ribalta la realtà

Alla democrazia non piace la guerra, ma quando decide di combatterla, come dice Alexis De Tocqueville, lo sa fare. Ma gli intellettuali si spaventano: è una parola vietata, speriamo dunque in un cessate il fuoco!

Caracciolo su Iran e Israele ribalta la realtà
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Molti intellettuali di sinistra stanno cercando di fondare una teoria della futura distruzione dello Stato d'Israele, ma hanno due problemi: passeranno alla storia per la loro viltà e il loro errore. Israele ha ragione perché è dalla parte della democrazia e della libertà contro la dittatura e il terrorismo islamico, e vincerà, perché non può fare altrimenti, e questo lo difende e lo sorregge moralmente, come sempre nella storia. Gli intellettuali che profetizzano la morte d'Israele non ricordano cos'è successo il 7 ottobre né le promesse di genocidio; immaginano che la guerra di Israele sia di «vendetta». Ma non è vero: Israele odia la guerra ed è costretto a una guerra di sopravvivenza, contro un grande schieramento totalitario guidato dall'Iran in Medioriente e dalla Russia nel mondo. Sia Hamas sia Hezbollah avevano preparato un'aggressione per l'espulsione di Israele dall'area. Da questo deriva la lunga, difficile guerra in corso su sette fronti, e questo non piace a nessuno. Alla democrazia non piace la guerra, ma quando decide di combatterla, come dice Alexis De Tocqueville, lo sa fare. Ma gli intellettuali si spaventano: è una parola vietata, speriamo dunque in un cessate il fuoco!

Così dice Lucio Caracciolo nell'ultima risposta in un'entusiasta intervista rilasciata all'Unità in cui condanna a morte Israele e, con un mantra molto consueto, mette tutte le colpe su Israele e Netanyahu. È lui che vuole la guerra, non chi da anni colpisce coi suoi missili quasi tutto il territorio dello Stato Ebraico (250mila ne ha Hezbollah), spedendo milioni di persone nei rifugi e armando i terroristi. Caracciolo è lo storico che il 10 febbraio 2022 sostenne che «Putin non invaderà l'Ucraina perché sa che sarebbe una rovina per la Russia», cioè due settimane prima dell'invasione. Il suo lavoro di destrutturazione del diritto del popolo ebraico non solo alla sua terra (secondo il diritto all'autodeterminazione), ma alla sua esistenza in quanto popolo ebraico (ci ha dedicato un altro volume del suo Limes), si arrampica sugli specchi di una delle mille tesi woke per disegnare un fallimento definitivo di Israele, sostenuto da folle che urlano «from the river to the sea». Piacevole sillabare di nuovo e di nuovo, in interviste sull'Unità e interventi su Repubblica, la condanna di Israele. È l'Iran aggredito, non Israele. Come con la guerra del '48, e poi tutte le altre: per il mondo sovietico, per i Paesi non allineati, per l'Onu e poi per il movimento woke, Israele è un Paese bianco colonialista, imperialista, capitalista. E per Caracciolo, un Paese spaccato, a pezzi. Sembra difficile, e forse non lo si deve pretendere da chi non si accorge che nella sua difesa dei diritti umani in realtà difende chi impicca gli omosessuali e condanna a morte donne e dissidenti, capire che abbiamo qui un Paese che combatte contro la barbarie e difende tutto il mondo da una guerra di conquista da parte di un arco di forze malefiche. Ed è quasi patetico negare proprio ora la sua esistenza come popolo, tanti colori, tante idee, pro o contro Netanyahu, religiosi e laici, famiglie di ogni colore, ebrei, drusi, circassi, arabi, cristiani e musulmani perdono i migliori figli in una guerra di sopravvivenza per difendersi e ritrovare i rapiti.

Chi cerca una scusa per essere contro Israele e contro gli ebrei la trova sempre in Netanyahu, e poi persino in Ben Gvir, che, orrore, è religioso! Un ministro di cui Netanyahu non ha mai avuto cura, che non partecipa neanche alle riunioni di gabinetto. Le teorie per cui gli ebrei sarebbero alla fine odiosi suprematisti religiosi, che era poi la teoria stalinista e prima ancora quella nazista, e che Netanyahu mandi i ragazzi a morire per tenersi il governo, sono talmente ridicole che ci può credere soltanto uno storico come Pappé, uno squalificato ebreo odiatore di ebrei. Altri non sopportano il successo ebraico o confondono il terrorismo con i movimenti di liberazione, reinventando la storia: quanti libricini sono usciti in questo periodo. Enzo Traverso, Roberta Monticelli, Anna Foa (Il suicidio di Israele), la storia di Pappé stampata da Fazi, Hamas di Paola Caridi di Feltrinelli, Raja Shehadeh per Einaudi, sostiene che è stato sempre Israele a respingere la proposta di pace dei palestinesi. Non l'ho letto, non leggerò nemmeno quello di Gad Lerner, ma mi azzardo ad aggiungerlo a una lista che ignora che Israele in Libano sta distruggendo le strutture che dovevano servire a un'invasione come quella del 7 ottobre, e non ce l'ha con i libanesi e tantomeno con l'Unifil.

Una lista che usa il mantra Netanyahu come se dicesse «abracadabra» per cancellare le riunioni fra Putin, Khamenei, Hamas, Nasrallah, Houthi, sciiti dell'Irak, prima e dopo il 7 ottobre. Così si tenta di distruggere Israele che si sta difendendo con successo; chi non lo capisce, fiancheggia i suoi nemici, volente o nolente.

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