Le bimbe spose a soli 8 anni nel silenzio delle attiviste

Mentre in Occidente ci si strugge per gli obbrobri del patriarcato, in Iraq si pensa di affossare la legge che protegge le bambine da stupri e nozze precoci. E in Iran le donne che rifiutano il velo finiscono in clinica

Le bimbe spose a soli 8 anni nel silenzio delle attiviste
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Mentre attiviste e attivisti si struggono per gli obbrobri del patriarcato nella nostra società occidentale, dal Medio Oriente islamico giungono due notiziole che dovrebbero riscuotere la loro nobile attenzione. Notizie che riguardano infamie ai danni delle donne (e delle bambine) di ben altro, tragico livello.

La prima arriva dall’Iraq, Paese nel quale ci eravamo illusi, ai tempi della guerra contro il sanguinario dittatore Saddam Hussein, di aver portato insieme con la democrazia anche un po’ di apertura mentale. Ci eravamo sbagliati, evidentemente. Il Parlamento di Bagdad, infatti, sta vagliando in tutta serietà un emendamento che affosserebbe la “Legge 188”, introdotta in Iraq nel lontano 1959, che garantisce indipendentemente dalla religione professata diritti fondamentali per le donne irachene quali il divorzio, l’affidamento dei figli, la destinazione dell’eredità e l’età legale minima per il matrimonio fissata a 18 anni.

La coalizione di governo al potere, formata da partiti tradizionalisti islamici, intende cancellare questi diritti, con l’intento dichiarato di “proteggere le ragazze dalle relazioni immorali”. Peccato che poi, approvando l’emendamento, verrebbe abbassata l’età di consenso per il matrimonio addirittura a 9 anni, legittimando in pratica lo stupro minorile ed estendendo a livello di legge dello Stato la pratica religiosa diffusa nel mondo sciita (quella sì immorale) dei matrimoni religiosi con spose bambine e tutte le limitazioni dei diritti delle donne tipiche di quel mondo.

Se questo avverrà, l’Iraq retrocederebbe al livello del vicino Iran sciita, il Paese da cui giunge la seconda notizia choc che non sembra turbare attivisti e attiviste occidentali sempre molto preoccupati di passare per islamofobi. Il governo di Teheran ha annunciato l’apertura di una clinica per il trattamento psicologico delle donne che non rispettano l’obbligo di legge di indossare l’hijab, il velo islamico. L’idea è che se una donna iraniana arriva a fare questo, non può che essere mentalmente disturbata e deve essere “aiutata” a guarire.

La notizia non può sorprendere, dopo che le autorità della Repubblica islamica avevano già informato del trasferimento in una clinica psichiatrica della studentessa universitaria di Teheran che si era spogliata in

pubblico per protestare contro l’obbligo dell’hijab. Non sorprende neanche la mancata solidarietà da parte degli adepti del politicamente conformista, come sarebbe tempo di ribattezzare il nauseabondo “politicamente corretto”.

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