Il genio che suonava il jazz ma inventò il futuro del pop

Musicista e produttore, collaborò con Sinatra e Spielberg e firmò il capolavoro "Thriller" di Michael Jackson

Il genio che suonava il jazz ma inventò il futuro del pop
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Intanto era impossibile definirlo. Adesso che Quincy Jones non c'è più, morto a 91 anni dopo più di settanta trascorsi nella musica, ognuno ha provato a fare un ritratto di quello che è stato il più funambolico e creativo deus ex machina della nostra epoca. Ma tutti, e anche chi scrive, si sono scoperti costretti dallo spazio esiguo o dall'inevitabile ignoranza a raccontare solo in parte la sua traversata artistica.

Forse basta un concetto a rendere il tutto: Quincy Delight Jones Jr, nato a Chicago nel 1933, è l'apoteosi dell'«american dream», della possibilità che il figlio di un padre falegname (della mafia) e di una mamma che lavorava in banca prima di cadere nella schizofrenia possa non solo diventare il produttore musicale più famoso di tutti i tempi (26 Grammy su 76 nomination) ma pure un gigantesco autore di colonne sonore (bellissima quella di A sangue freddo tratta dal romanzo di Truman Capote) e un trombettista che a 20 anni suonava per Lionel Hampton a 17 dollari al giorno poi per Elvis Presley quando si esibiva in tv finché smise per colpa di un doppio aneurisma che nel 1974 lo obbligò a due operazioni a cranio aperto. Impiegò un anno a venirne fuori. E ce ne vorrebbe altrettanto per raccontare tutto ciò che è riuscito a fare nella più fantasmagorica carriera artistico-manageriale del Novecento. Perciò andiamo a episodi, che saranno la piccola punteggiatura di una storia.

Ad esempio, Quincy Jones era appena adolescente quando incontrò a Seattle un sedicenne Ray Charles con il quale formò un duo, uno alla tromba l'altro al piano. La band durò poco, l'amicizia per sempre. Un po' meno con Frank Sinatra, del quale Quincy Jones arrangiò un album e fece l'arrangiamento di Fly me to the moon che Buzz Aldrin fece suonare poco dopo essere atterrato sulla Luna. Un po' prima, mentre era il discografico di Barbra Streisand, volò in Italia per produrre due brani di Tony Renis, che oggi lo ricorda così: «Era un fratello, lo amo e continuerò ad amarlo tanto». Poi l'impegno sociale. Appoggiò Martin Luther King, fu il primo afroamericano a condurre gli Oscar nel 1971 ed è quello con il maggior numero di nomination, sette, senza alcuna vittoria ma meglio così. Come scrive giustamente Marco Giusti su Dagospia, era troppo anarchico per poter essere irregimentato in uno semplice stile o in una tendenza precisa. Si è visto con Michael Jackson, del quale fu senza dubbio l'uomo decisivo nella svolta decisiva. Gli produsse Off the wall, il disco che lo toglie dai Jackson 5 e inizia a farlo brillare di luce propria. E poi firma Thriller, che lo fa brillare di luce eterna visto che non è soltanto il disco più venduto di sempre, ma è pure l'album che chiude un'intera fase musicale e ne apre un'altra, peraltro non ancora finita.

Con Quincy Jones la musica leggera popolare è diventata un linguaggio multilevel, realmente multiforme e mostrificato come i protagonisti del video di Thriller. Da allora nulla è stato più come prima, a prescindere dalle singole mode o dalle tendenze che si vaporizzano anno dopo anno. Di certo un bivio nella storia di Quincy Jones sono state le sue permanenze in ospedale. Della prima si è detto. La seconda fu 9 anni fa, nel 2015 a 82 anni, per un coma diabetico dovuto all'abuso di alcol. Da lì in avanti, la sua carriera si è inevitabilmente rallentata, anche se nel 2022 ha ancora collaborato con uno dei più creativi artisti della nuova guardia, ossia The Weeknd, che del Michael Jackson di Thriller è senza dubbio un goloso dipendente artistico.

Insomma che Quincy Jones non abbia mai avuto limiti (in tutto) si capisce anche dalla veemenza con la quale comprò i diritti del romanzo Il colore viola di Alice Walker e li «impose» a Steven Spielberg per l'adattamento cinematografico scritturando pure una giovanissima Oprah Winfrey (risultato: tre nomination all'Oscar). Nello stesso anno, il 1985, è il coordinatore del progetto We are the world, che trasforma il brano scritto da Lionel Richie e Michael Jackson (e cantato da 45 superstar) nel singolo più venduto di tutti i tempi che è riuscito a raccogliere 63 milioni di dollari devoluti ai popoli africani afflitti dalle carestie.

In

poche parole, Quincy Jones si porta via un'epoca, quella del virtuosismo musicale e dell'eccezionalità comunicativa, e di certo sarà difficile ritrovare un altro come lui, capace di nascere leggenda e di morire senza eredi.

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