"In Libano come a Gaza, guerra lunga e dolorosa. La morte di Nasrallah? Hezbollah è ancora forte"

Il portavoce del "Partito di Dio": "Siamo pronti all'escalation, abbiamo molte carte da giocare"

Salman Hareb porta voce del Partito di Dio filo iraniano nel sud del Libano (credit Vincenzo Circosta)
Salman Hareb porta voce del Partito di Dio filo iraniano nel sud del Libano (credit Vincenzo Circosta)
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Il buio della notte è illuminato dai lampi rossi delle esplosioni, oltre le colline, verso il campo di battaglia fra Hezbollah e israeliani. Salman Hareb è la voce del Partito di Dio filo iraniano nel sud del Libano (responsabile rapporti con i media), tra i pochissimi che si espone parlando senza peli sulla lingua.

Che piega prenderà il conflitto?

«L'escalation a cui stiamo assistendo non è iniziata il 7 ottobre 2023, ma ben prima. Il primo tentativo risale al 2006 con la precedente invasione fallita. Ora sta accadendo di nuovo. Vogliono creare insediamenti nel sud del Libano, come a Gaza e replicare il modello che da anni stanno attuando in Cisgiordania. È il nuovo ordine mediorientale voluto da Benjamin Netanyahu».

In cosa consiste?

«Partendo da Gaza Netanyahu ha dichiarato che l'obiettivo era cancellare Hamas e il suo sistema di potere. Dopo un anno è chiaro che non è stato raggiunto. Israele ha massacrato decine di migliaia di civili palestinesi e non è riuscito a portare a compimento i suoi piani a Gaza. Così come non sarà in grado di farlo qui. Il progetto di creare una zona sicura in territorio libanese, svuotando le città e i villaggi di confine, con la pretesa di neutralizzare Hezbollah si dimostra ogni giorno sempre più difficile».

Però Israele sta espandendo le sue operazioni a Sud...

«Gli israeliani vanno avanti di due o trecento metri e poi se ne vanno via. Fino ad ora non sono stati in grado di prendere possesso di significative porzioni di territorio, anzi sono maggiori le perdite subite che i guadagni messi a segno. In alcuni punti del confine non sono nemmeno riusciti a penetrare più di qualche decina di metri. È chiaro che l'assassinio del nostro leader Hassan Nasrallah ha rappresentato un momento difficile, così come l'eliminazione di altri vertici. Questo però non compromette la determinazione e la solidità della resistenza, ma rappresenta per tutti noi una grande spinta per andare avanti più decisi».

Vuol dire che eravate preparati anche a uno scenario del genere?

«Ci sono strategie che Hezbollah ha sviluppato nel corso degli anni. Piani tattico-strategici che non abbiamo ancora attuato ma che avranno un'efficacia impressionante. Hezbollah ha ancora molte carte da giocare. La guerra sarà lunga e dolorosa per i nostri nemici».

Siete pronti a una guerra su larga scala come quella del 1982?

«Israele ha più volte detto che vuole entrare in Libano, ma non è assolutamente pensabile un'invasione come nel 1982 con l'arrivo degli israeliani a Beirut».

Cosa pensa degli attacchi contro Unifil compreso il contingente italiano?

«Episodi ostili nei confronti del contingente Unifil e dei militari italiani non sono nuovi e non sono iniziati con questa guerra. Israele da tempo prende di mira il caschi blu. Nel 1996, durante il massacro di Qana, fu colpito un complesso delle Nazioni Unite e dopo ci sono stati altri episodi».

Gli israeliani, però, vi accusano di usare Unifil come scudi...

«Più di una volta i militari israeliani si sono nascosti dietro o nei pressi delle basi Unifil, ma noi non abbiamo colpito i caschi blu. Il loro obiettivo è liquidare la missione. Al suo posto vorrebbero una forza multinazionale come quella guidata da Stati Uniti e Francia nel 1982, che risponde ai singoli governi (loro alleati) e che esercita maggiori pressioni sul Libano. Questo non lo accetteremo mai».

Alcuni dicono che l'Iran sta mollando Hezbollah...

«Hezbollah non ha bisogno che l'Iran intervenga nel conflitto. Abbiamo capacità e strumenti tali da potere agire per conto nostro. Però tutto ciò che riguarda Hezbollah, soldi, missili, addestramento è stato possibile grazie all'aiuto di Teheran, che ha creato l'importante realtà dell'asse della Resistenza (formazioni in Iraq, Siria e gli Houti nello Yemen nda)».

Non temete una ritorsione israeliana nei confronti dell'Iran?

«In questa fase del conflitto notiamo che Israele parla più di quanto dovrebbe e più di quanto agisce sul campo. Semmai proveranno ad attuare ritorsioni saranno loro stessi vittime di un contrattacco iraniano di vasta portata».

Siete pronti a ragionare su una tregua?

«Hezbollah è sempre aperta a un negoziato ma a condizioni eque e giuste, ovvero aiutare la popolazione di Gaza. La richiesta, inoltre, di indietreggiare decine di km rispetto al confine per permettere agli ebrei di tornare nei loro villaggi è solo un pretesto.

Nel suo ultimo discorso prima di morire Hassan Nasrallah ha detto: Netanyahu non è grado di garantire il ritorno sicuro della sua gente al nord sino a quando non sarà cessato il fuoco a Gaza e in Libano, condizioni che sono indiscutibili. Non abbiamo fretta, siamo disposti a combattere fino al martirio».

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