
Palù durante la pandemia ha ricoperto vari ruoli: virologo, presidente dell’Aifa, membro del secondo Comitato tecnico scientifico. E nonno di tre nipotini, all’epoca sotto i 10 anni.
Ha pensato anche a loro il giorno in cui il Cts ha deciso di vaccinare i ragazzini sotto i 12 anni?
«Sì, e li ho fatti vaccinare subito. Oltre a sedere ai tavoli in cui si stabiliva la linea anti Covid, ho sempre pensato a proteggere la mia famiglia».
Immagino non sia stata una decisione presa a cuor leggero.
«Ovviamente abbiamo deciso in base alle evidenze scientifiche che allora parlavano dei rischi della sindrome infiammatoria acuta multiorgano dei bambini, legata all’infezione. Ma anche in quel caso con un gravame particolare. Senza mai perdere di vista l’impatto delle misure drastiche che stabilivamo. Soppesavamo tutto, i report non ancora sottoposti a revisioni da parte di pari e le pubblicazioni scientifiche che risultavano già vecchie non appena pubblicate, consapevoli di creare disagi, specie in una popolazione ancora immatura dal punto di vita fisico e psichico. Il virus correva più veloce di noi, tutto era in evoluzione molto rapidamente».
Il primo Cts è stato quello delle chiusure. Il suo, il secondo, quello dei vaccini. E su quel fronte le notizie erano parecchio contrastanti. Penso ad Astrazeneca.
«Essendo l’unico virologo presente al tavolo conoscevo bene l’adenovirus, vettore su cui si basava il vaccino Astrazeneca e ho fatto presente la possibilità che le proteine dell’involucro virale potessero generare una risposta infiammatoria e pro-coagulativa. Era noto che Astrazeneca era meno efficace dei vaccini a mRNA e dalla Germania arrivavano studi sui rischi per le giovani donne. Prevalse allora l’opinione del maggior beneficio di accelerare la copertura in ambito di popolazione».
Ha mai provato ansia?
«Certo, ma eravamo obbligati a prendere decisioni gravose per il Paese: la priorità era contenere il virus. Avvertivo lo sconforto, la sofferenza psicologica e l’impotenza della gente per il senso di solitudine e isolamento creati dalle quarantene, dal distanziamento sociale, dalle misure per prevenire il contagio. Condizioni che facevano sì che esseri umani fossero impossibilitati a comunicare tra loro, abbracciare i propri cari, assistere un congiunto morente».
Cosa non ha funzionato?
«Sicuramente l’infodemia creata dai mezzi di comunicazione con spettacolarizzazione mediatica della pandemia, una narrazione allarmistica quasi ad evocare il rischio di una pandemia perpetua, che ha creato disorientamento, paura».
Gli esperti di Covid non sempre erano tali?
«L’errore è stato quello di non avere una comunicazione scientifica istituzionale, in capo all’Istituto Superiore di Sanità o al Ministero della Salute come avveniva in altre nazioni».
A questo hanno contribuito anche i bollettini quotidiani?
«Uno a settimana forse sarebbe stato sufficiente. Addirittura due al giorno, inizialmente, hanno contribuito ad alimentare l’incertezza collettiva».
L’Europa ha dimostrato di essere Europa nella prova Covid?
«A parte l’ottima decisione di procedere con un acquisto centralizzato di vaccini e antivirali e le scelte dell’Ema sull’approvazione dei nuovi farmaci, i singoli Paesi decidevano per sé su soggetti da vaccinare, sull’età di somministrazione dei vaccini e sulle misure non farmacologiche di contenimento.Se mai dovessimo avere a che fare con una nuova pandemia dovremmo sicuramente pensare ad un maggior coordinamento».
Che lezione abbiamo imparato?
«Ora siamo più preparati. A Siena è stata istituita la Fondazione Biotecnopolo, il primo centro anti pandemico nazionale. Gode di finanziamenti ministeriali ed internazionali di tipo competitivo. La Fondazione conduce ricerche per individuare nuovi agenti potenzialmente pandemici, allestisce nuovi vaccini e anticorpi monoclonali per contrastare i potenziali patogeni e la resistenza antimicrobica (MDR). Questa rappresenta già una pandemia strisciante che nel 2050 si stima causerà più morti del cancro. In caso di emergenza sarebbe il quartier generale in cui verrebbe affrontata la pandemia».
Cosa invece si può migliorare?
«La gestione a livello centrale delle calamità, come previsto dalla Costituzione; la trasparenza e la diffusione alla comunità scientifica internazionale dei dati delle ricerche; la comunicazione.
Questa, in particolare, ha creato tanta disinformazione, lasciando spazio a un’ondata di negazionismo in cui hanno prevalso istinti, pregiudizi e illusioni illogiche. Purtroppo tutto questo ha portato a maturare una profonda sfiducia nella scienza e nelle istituzioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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