Lucio Colletti il ribelle. Saltò lo steccato marxista nel nome della libertà

Dopo una lunga, ma critica, militanza a sinistra abbandonò le profezie vuote del comunismo

Lucio Colletti il ribelle. Saltò lo steccato marxista nel nome della libertà

L'8 dicembre del 1924, cento anni fa, nasceva Lucio Colletti, uno dei protagonisti della cultura filosofico-politica italiana della seconda metà del Novecento, e una delle personalità più discusse di quegli anni difficili e tormentati. La sua storia intellettuale fu contrassegnata da appassionate e drammatiche «svolte» o «fratture», nelle quali egli ebbe la forza di mettere in discussione il proprio precedente patrimonio ideale, e di avviare una fase interamente nuova.

La prima svolta fu la sua adesione al marxismo, pochi anni dopo la laurea (che egli aveva conseguito sotto la guida del filosofo crociano Carlo Antoni). Durante gli anni universitari, infatti, e nel periodo immediatamente successivo, Colletti non era su posizioni marxiste, bensì su posizioni liberal-democratiche. La sua adesione al marxismo e la sua decisione di entrare nel Partito comunista maturarono tra il 1949 e il 1950, in piena Guerra fredda, quando egli aveva 25-26 anni. Tale svolta in direzione di Marx e del comunismo ebbe la sua molla (come accadde a tanti intellettuali) nel messaggio salvifico del marxismo: la nascita di una società interamente nuova e unificata.

Dopo le rivoluzioni popolari contro le dittature comuniste in Polonia (Poznan) e in Ungheria, nel 1956, Colletti non fu tra i numerosissimi intellettuali che abbandonarono il Pci. Beninteso, egli visse con grande passione e drammaticità quegli avvenimenti, e anzi fu tra gli estensori della «Lettera dei 101» (fra i quali figuravano parecchie delle personalità più prestigiose che avevano aderito al Pci: da Natalino Sapegno a Carlo Muscetta, da Renzo De Felice a Piero Melograni, da Luciano Cafagna ad Alberto Caracciolo, per fare solo alcuni nomi). In quel documento - che fu inviato alla direzione del partito, con richiesta di pubblicazione su l'Unità (richiesta che fu respinta) - si denunciava lo stalinismo che dominava nell'Urss e nei Paesi satelliti, la dura coercizione sulle masse popolari, la soppressione delle libertà civili e politiche, l'instaurazione di rapporti fra gli Stati socialisti basati sull'ingerenza e sulla subordinazione; e si denunciava altresì che il Pci, fino a quel momento, non aveva condannato lo stalinismo, e ne aveva minimizzato i crimini, definendoli «errori» o addirittura «esagerazioni».

E tuttavia, nonostante Colletti fosse, come si è detto, uno degli estensori della «Lettera dei 101», egli non uscì dal partito (come invece fece gran parte dei firmatari). Restava intatta la sua fede nel comunismo, quale delineato da Marx, di cui lo stalinismo era non una conseguenza (pensava il filosofo romano), bensì una spaventosa negazione.

Senonché il marxismo di Colletti era un marxismo eterodosso, che lo avrebbe portato a confliggere sempre più col Pci, da cui uscì nel 1964. Da un lato, infatti, sul piano filosofico-teorico egli rifiutava il «materialismo dialettico» (che era il marxismo ufficiale di tutti i partiti comunisti) con la sua dialettica della natura e della storia, ed esigeva un ritorno all'opera di Marx, che era essenzialmente (così pensava allora il filosofo romano) una analisi sociologico-scientifica della società capitalistica; dall'altro lato, incalzato sempre più dalle dure repliche della storia, Colletti si rendeva conto che tutte le più importanti previsioni di Marx non si erano verificate. Il movimento comunista non si era affatto affermato in Inghilterra, che era il Paese capitalistico più sviluppato. Inoltre il marxismo non aveva elaborato una teoria politica, bensì aveva elaborato una teoria della estinzione dello Stato e della politica: ma come si sarebbe estinto lo Stato in una società comunista, se questa doveva essere una società integralmente pianificata? Inoltre la teoria di Marx prevedeva un crollo del capitalismo (in seguito alla progressiva riduzione del saggio di profitto): ma anche questa previsione si era rivelata completamente erronea. E Marx aveva previsto una progressiva scomparsa dei ceti intermedi, con la divisione della società in due classi soltanto: una, relativamente ristretta, di capitalisti, e una, molto ampia, di proletari. Anche questa si era rivelata una pura e semplice utopia.

Nel 1974, con la sua celebre Intervista politico-filosofica (pubblicata da Laterza) Colletti prese congedo dal marxismo, che era ancora largamente egemone nella cultura italiana. Egli si avvicinò sempre più alla cultura liberale e avviò una salda amicizia e collaborazione con personalità come Rosario Romeo e Renzo De Felice. Negli anni della segreteria di Enrico Berlinguer, Colletti incalzò il Pci affinché conducesse fino in fondo il suo allontanamento dall'Urss e abbracciasse la democrazia liberale, fondata sulle libertà civili e politiche, sul pluripartitismo, su libere elezioni ecc. Una scelta, questa, che Berlinguer non fece mai, perché, mentre dichiarava di sentirsi più sicuro sotto l'ombrello della Nato, e invocava una società pluripartitica, al tempo stesso si proclamava leninista, e diceva di battersi per una misteriosa «terza via», né sovietica né socialdemocratica.

Naturalmente, Colletti (morto il 3 novembre 2001) ricevette molti attacchi dai suoi antichi compagni di fede, e anche delle vere e proprie irrisioni (la pretesa «crisi del marxismo», gli disse un esponente dell'estrema sinistra, Mario Tronti, era solo una miserevole «sceneggiata»). Ma egli procedette tranquillamente per la propria strada, incurante delle scomuniche e degli strepiti, come sempre aveva fatto in passato.

Portò a conclusione il processo di revisione della sua ideologia, dapprima collaborando con Mondoperaio (rivista ufficiale del Partito Socialista Italiano) e, in seguito, aderendo a Forza Italia, nelle cui liste fu eletto deputato nelle elezioni politiche del 1996 e del 2001.

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