Il "mondo perduto" e la poesia di Ferlinghetti

Ferlinghetti ha scritto moltissimo, e su di lui si è scritto ancora di più. Impossibile non avere ascoltato un suo verso, non essere incappati in un suo libro

Il "mondo perduto" e la poesia di Ferlinghetti
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L'unica volta che noi l'abbiamo visto dal vivo, anni fa, in uno dei suoi tanti passaggi in Italia, Paese di suo padre e che fra reading e presentazioni ha percorso dalla Calabria a Trento, Lawrence Ferlinghetti (1919-2021) era in divisa d'ordinanza: cappello, barba bianca, orecchino, sorriso, penna sempre in mano e foglietti scribacchiati in tasca per fissare un'idea, un verso... Da vivo era un monumento; ora che non c'è più, un mito.

Fra mito e storia, Lawrence Ferlinghetti cento e uno anni vissuti in uno stato di rivoluzione intellettuale permanente, trenta raccolte di versi pubblicate e infiniti testi usciti dalla sua City Lights che fondò a San Francisco è stato così tante cose che è difficile sceglierne una: soldato della marina statunitense, primo dei beatnik e ultimo dei bohémien, libraio, editore, poeta, agitatore culturale e persino pittore che esordì sotto l'influenza di Morris Graves... Lui ha scritto moltissimo, e su di lui si è scritto ancora di più. Impossibile non avere ascoltato un suo verso, non essere incappati in un suo libro.

Tanto più che adesso ne è arrivato un altro. Ed è bellissimo. Eccolo. Lawrence Ferlinghetti, Fotografie del mondo perduto (Sur, pagg. 106, euro 14), curato dallo stesso editore, Marco Cassini, il quale - non per caso conobbe molto bene il poeta americano, lo andò a trovare più volte negli Stati Uniti e lo portò ancora più volte in Italia. Il libro, che là uscì nel 1955, è importante per almeno un paio di motivi.

Uno. Perché costituisce un triplice esordio, e cioè: è il libro con cui Ferlinghetti lancia la sua casa editrice, che porta lo stesso nome della libreria che aveva aperto nel '53 a San Francisco assieme a Peter Martin dando di fatto inizio alla Beat generation. È il suo esordio come poeta, firmandosi peraltro per la prima volta Lawrence Ferlinghetti, visto che il padre Carlo al suo arrivo in America fu registrato come Ferling (si tratta di una raccolta di 27 poesie che formano un album di istantanee, delle «fotografie» del mondo perduto, appunto, scritte subito dopo aver trascorso quattro anni in Francia come veterano della Seconda guerra mondiale: aveva partecipato anche al D-Day...). Ed è anche il primo volume di una collana di tascabili di poesia («Pocket Poets Series») che ha fatto la storia della letteratura del Novecento (qui uscì Howl di Allen Ginsberg, con il noto strascico di processi e polemiche, e poi raccolte di versi di Kenneth Patchen, Gregory Corso, Malcolm Lowry, Diane Di Prima, ma anche Julio Cortázar e Dino Campana...).

Due. Il libro è importante non solo perché oggi per la prima volta viene tradotto in italiano, settant'anni esatti dopo la pubblicazione negli Stati Uniti (e sembra incredibile nessuno ci abbia pensato prima), ma per la prefazione di Marco Cassini, che è anche traduttore delle poesie, in cui si racconta benissimo il Ferlinghetti poeta, editore e uomo.

Un testo di cui vi lasciamo il piacere della lettura.

Per il resto, i ventisette poemetti sono magnifici. Il nostro preferito, a chi interessa, s'intitola Il mondo è un posto meraviglioso. E non è per nulla consolatorio come il titolo lascia presagire.

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