Quelle voci in Questura sul super poliziotto Gallo: "Forse ‘rovinato’ dalla pensione…"

La vicenda e le indagini che in questi giorni hanno coinvolto l’ex superpoliziotto Carmine Gallo nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sui presunti dossieraggi della società "Equalize" non ha lasciato indenni gli ambienti della questura di Milano

Quelle voci in Questura sul super poliziotto Gallo: "Forse ‘rovinato’ dalla pensione…"
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«Se penso a lui, lo vedo salire sull’auto del dirigente della squadra mobile, con cui ha sempre avuto un rapporto paritario, per andare in Procura dove per Carmine le porte erano sempre aperte. Un uomo che sprizza carisma».
Amareggiati, sfiniti «da tutte queste chiacchiere», ma anche confusi. La vicenda e le indagini che in questi giorni hanno coinvolto l’ex superpoliziotto Carmine Gallo nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sui presunti dossieraggi della società «Equalize», com’era immaginabile, non ha lasciato indenni gli ambienti della questura di Milano.

Gran parte di coloro che sono stati suoi colleghi, molti dei quali sono anch’essi già in pensione, hanno trascorso anni lavorando a fianco del 65enne che adesso si trova ai domiciliari con l’accusa di aver preso parte a un’associazione per delinquere finalizzata agli accessi abusivi di banche dati strategiche nazionali per carpire informazioni sensibili e segrete e venderle al miglior offerente. E anche se, come succede in ogni ambiente di lavoro, non si può parlare sempre di «amici per la pelle», è innegabile che per tanti poliziotti Carmine Gallo è stato un punto di riferimento.
«Piccolo di statura, Carmine cammina un po’ a testa bassa e a chi non lo conosce può passare inosservato - ricorda un ispettore -, ma per noi era come una sorta di Enrico Cuccia. Lo incroci per strada e pensi “guarda quel vecchietto!“. E non sai che invece ti trovi davanti a un monumento, non so se rendo l’idea. Ecco, per noi della Mobile di Milano Gallo rappresentava questo. Lavorare con lui era come per un allievo andare a lezione, sì, ma dal rettore».

L’uomo, particolarmente riservato, andava molto d’accordo con l’ex prefetto di Padova, Francesco Messina, negli anni in cui questi ricopriva il ruolo di dirigente della squadra mobile di Milano, tra il 2007 e il 2009. Entrambi runner convinti, si conoscevano dai tempi della Criminalpol e nel tempo libero andavano spesso a correre insieme e a gareggiare. C’era chi diceva che Gallo lasciasse sempre vincere Messina per una forma di rispetto all’autorità, non certo perché fosse meno veloce di lui.

«Napoletano, non certo un gran chiacchierone e anche un po’ misogino, come tanti colleghi un po’ avanti con l’età e che hanno origini meridionali - spiega una poliziotta della Mobile - ma ogni volta che mi incontrava era gentilissimo e mi offriva sempre il caffé. E lo stesso l’ho sentito raccontare da tanti altri colleghi. Sul lavoro niente da dire, una specie di faro. Quando sapevo che alla Mobile era lui di reperibilità, in qualità di sostituto commissario, beh, mi sentivo più sicura perché ero cosciente che se durante il turno fosse sorto un problema, ecco, quello non sarebbe stato più un problema».

«Il numero uno: non è un caso che anche il figlio, Gabriele, lavori alla Mobile, che faccia lo stesso mestiere del padre: i figli non possono che percepire, assimilare l’amore quando i genitori svolgono il proprio lavoro con passione. E poi provano a imitarti - racconta un sostituto commissario che conosce bene Gallo -. Carmine ha lavorato tutta la vita contro la criminalità organizzata, credo che in molti invidiassero questa sua capacità di rovistare nel fango sporcandosi le mani con dignità, perché nel nostro lavoro non viene mai veramente perdonato di essere borderline, anche se lo fai per il bene dello stato. Certe sue conoscenze, quelle con i collaboratori di giustizia, sono risultate determinanti in alcune indagini che hanno fatto storia. E non parlo solo del sequestro Sgarella, del delitto Gucci: Carmine è stato tra i primi a indagare per il contrasto dell’ndragnheta in Lombardia, per non parlare dei suoi rapporti con Salvatore Morabito...Un collega fuoriclasse ecco cos’è stato!».

E allora? Come può essere finito dentro tutto questo chiediamo. «I poliziotti d’élite come lui mal tollerano la pensione - conclude un ex vicecapo della polizia che lo ha conosciuto bene e lo stima -. Forse dopo l’addio alla polizia di stato avrebbe dovuto dire basta, invece ha deciso di continuare a lavorare, magari anche per coltivare determinati rapporti che se non sei operativo non mantieni, o forse solo per sentirsi ancora qualcuno e avere la possibilità di fare qualche favore.

Soldi? No, non credo fosse la ragione principale che l’ha spinto a non mollare. Poi, si sa, più in alto vai più se cadi ti fai male. Soprattutto se dai fiducia a persone che sfiorano il delirio di onnipotenza... Come è successo a lui con gli hacker di “Equalize“».

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